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No alla legalizzazione della schiavitù. L’appello di Giovanni Ramonda (Apg23)

L'associazione Papa Giovanni XXIII condanna la scelta di istituire delle zone di «tolleranza per la schiavitù delle donne» e presenta in sette punti le ragioni per dire non alla regolamentazione della prostituzione.

di Antonietta Nembri

Non poteva mancare la voce della Comunità Papa Giovanni XXIIIsulla scelta del sindaco Marino di istituire a Roma delle zone di tolleranza che sui media sono state subito ribattezzate aree a luci rosse. E la voce della comunità fondata da don Oreste Benzi è di ferma «condanna per la scelta di istituire zone di tolleranza per la schiavitù della donna».

Allo stesso tempo Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità dice con forza: « L'unico modo per aiutare davvero queste donne è quello di debellare il fenomeno inaccettabile della prostituzione: i clienti sono di fatto primi sfruttatori della donna, e in secondo luogo finanziatori del racket. Debellare la prostituzione è possibile, da mesi abbiamo presentato al governo una proposta di legge per adottare in Italia il "modello nordico" che sanziona i clienti. Il mondo cattolico deve fare fronte comune prima che la situazione degeneri».

Per dar forza alle sue richieste la Comunità Papa Giovanni XXIII presenta anche una sorta di decalogo in sette punti che rendono esplicite le ragioni per non regolamentare la prostituzione.

E la prima è che la regolamentazione aumenta la domanda di vittime di tratta. Si ricorda, citando un documento della Coalition Against Trafficking in Woman che «il 75-80% delle donne presenti nei bordelli olandesi e tedeschi, paesi in cui la prostituzione è legalizzata è stata trafficata contro la loro volontà». Oltretutto questo rende molto più difficile identificare le vittime di tratta e non permette la repressione della stessa tratta «è un ottimo scudo dietro cui i trafficanti si possono mascherare» si sottolinea.

La quarta ragione è che la regolamentazione della prostituzione non aumenta le entrate statali e si cita il caso tedesco «la maggior parte dei bordelli, gestiti dalla criminalità organizzata, si è rifiutata di pagare le tasse. Inoltre» viene fatto presente «le persone che si prostituiscono non vogliono essere associate alla prostituzione, per cui non dichiarano le tasse».

Sul fronte delle violenze, la regolamentazione non riduce gli abusi nei confronti delle donne: il 60% delle prostitute che operano nei Paesi Bassi hanno subito violenza fisica, mentre il 40% delle stesse ha dichiarato di aver subito violenza sessuale. Un altro dato citato dall’associazione quello statunitense: «Negli Usa l’86% delle prostitute ha dichiarato di aver subito violenza fisica dai clienti», mentre il 59% delle prostitute tedesche ha dichiarato che la regolamentazione non le fa sentire più sicure dalla violenza fisica e sessuale.

La sesta ragione riguarda la sicurezza sanitaria delle donne che si prostituiscono che non viene aumentata dalla regolamentazione: in Canada, per esempio, il tasso di mortalità delle prostitute è 40 volte superiore alla media nazionale. «La prostituzione comporta effetti dannosi per la salute delle persone che la praticano, le quali sono più soggette a traumi sessuali, fisici e psichici, alla dipendenza da stupefacenti e alcool, alla perdita di autostima, così come a un tasso di mortalità superiore rispetto al resto della popolazione» ricorda la Papa Giovanni XXIII.

L’ultimo punto è relativo all’aumento dei costi sociali dati dall’aumento della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili nella popolazione. Molte donne inconsapevoli mogli dei clienti, contraggono il papillma virus, non solo l’Hiv.

Foto: Getty Images


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