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Welfare & Lavoro

L’eccellenza sostenibile nel nuovo Welfare

La ricerca realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Generali costituisce l’esito di uno straordinario viaggio nell’universo della longevità e della non autosufficienza nel nostro Paese. Ecco alcuni dei risultati

di Redazione

La ricerca realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Generali costituisce l’esito di uno straordinario viaggio nell’universo della longevità e della non autosufficienza nel nostro Paese.
Tra i risultati della ricerca sono da sottolineare:

La longevità non spaventa, ma la non autosufficienza sí; non a caso nella cultura sociale collettiva si diventa vecchi quando si perde la propria autonomia, diventando dipendenti da altri. La relazione diretta tra invecchiamento, patologie croniche e non autosufficienza ha trasformato negli ultimi dieci anni quest’ultima in una vera e propria insorgenza sociale ed economica, perché il nostro sistema di welfare non era pronto ad affrontarla.

Limiti del modello italiano di assistenza alla non autosufficienza.
La soluzione domiciliarietà con badante è stata tempestiva, flessibile, sostenibile economicamente e soddisfacente per longevi, familiari e badanti. Una soluzione low cost-high value, nel senso che le retribuzioni delle badanti si sono attestate su livelli sostenibili (sia pure non senza difficoltà) per le famiglie, e le badanti hanno garantito il care ai longevi, alleviando al contempo dal peso dell’assistenza i familiari più esposti, di solito le donne. Sul piano sociale, le badanti hanno consentito a tante italiane di entrare o restare nel mercato del lavoro. Il modello italiano di assistenza quindi ha avuto il non piccolo beneficio collaterale di emancipare le donne da una parte del peso dell’assistenza ai membri più fragili, consentendogli di prendere posto nel mondo del lavoro. L’equilibrio del modello italiano però si va incrinando per le note difficoltà che in questi anni stanno colpendo i budget familiari intaccando la capacità di spesa dei longevi e dei familiari. Non sorprende quindi che sono oltre 561 mila le famiglie che per pagare l’assistenza ad un non autosufficiente hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o vendere l’abitazione (anche in nuda proprietà) o indebitarsi. Tanto più che da sempre il finanziamento del costo dell’assistenza a familiari non autosufficienti ha richiesto uno sforzo economico diffuso nelle reti familiari con quasi 910 mila famiglie in cui più membri si sono tassati per contribuire a pagare tale assistenza.

Si consideri poi che la componente regolare delle badanti rivendica retribuzioni più alte e maggiori tutele, cosa che accentua la segmentazione del mercato dell’assistenza, con le più referenziate che spuntano retribuzioni più alte e garantiscono più alta qualità alle famiglie più abbienti, nel mentre molti longevi sono accuditi da badanti visibilmente inadatte alla funzione e molte famiglie sono costrette a rinunciare alle prestazioni delle badanti e a rioccuparsi direttamente dei parenti non autosufficienti. La quadratura economica del modello italiano di assistenza non è più così scontato dentro la formula del welfare low cost-high value.

Ma la casa può anche diventare una trappola.
Nella cultura sociale collettiva la soluzione ottimale per la non autosufficienza è la permanenza in casa propria accuditi da un familiare o da una badante, o da entrambi. Tuttavia, non sempre questa si rivela la soluzione ottimale, tenuto anche conto delle esigenze ed aspettative degli attuali longevi. Si consideri che oltre 2,5 milioni di anziani vivono in abitazione non adeguate alla condizione di ridotta mobilità, e avrebbero bisogno di lavori infrastrutturali per adeguarle; 1,1 milioni vivono in abitazioni che sono inadeguate e inadeguabili. Sono poi oltre 9,8 milioni gli italiani che vivono in una abitazione non adeguata per una persona anziana magari con problemi di mobilità e ulteriori 6,7 milioni dicono che la propria abitazione non è adeguabile agli standard age proof. Sono situazioni limite in cui l’opzione domiciliare è una trappola e non garantisce alta qualità della vita; sarebbero infatti necessari o investimenti infrastrutturali o semplicemente il trasferimento in altra abitazione. Quel che è certo è che il modello italiano anche su questo aspetto nel lungo periodo non è ottimale, ma richiede una manutenzione incisiva, con adeguati investimenti.

Residenze, così come sono no grazie.
Come rilevato, nella cultura collettiva l’assistenza alla non autosufficienza si fonda sulla convinzione radicata e diffusa che per le persone rimanere in casa propria è sempre e comunque la soluzione migliore. La prevalenza culturale dell’opzione domiciliare ha però potuto beneficiare anche dell’assenza di alternative, perché la residenzialità per longevi non autosufficienti in Italia non è assolutamente competitiva. Infatti, sono poco più di 200 mila i longevi non autosufficienti ospiti di strutture residenziali di contro a circa 2,5 milioni in famiglia, in casa propria o di parenti. Le residenze per anziani non hanno appeal, sono parcheggi per vecchi lontani da esigenze e aspettative dei longevi. Pensando alla propria longevità con relativa fragilità o addirittura non autosufficienza la maggioranza degli italiani si immagina in casa propria, tra i familiari e/o magari con la badante, anche se la propria abitazione non è pienamente adeguata e/o adeguabile a garantire buona qualità della vita.

Eppure il ricorso alla residenzialità potrebbe essere subito ampliato con una qualità più alta dell’offerta. Se il predominio assoluto della domiciliarietà è lo stato attuale della situazione, tuttavia il mercato della residenzialità è potenzialmente espandibile rispetto all’attuale dimensione residuale, purché migliori la qualità dei luoghi e dei servizi interni. Sono infatti 4,7 milioni i longevi che sarebbero favorevoli per autosufficienti e/o non autosufficienti alla residenzialità, purché la sua qualità migliori rispetto all’attuale situazione. E per qualità migliore si intende non solo una assistenza sanitaria tempestiva ed efficace, ma contesti ad alta intensità relazionale, aperti alle comunità esterne a cominciare da quelle limitrofe, piattaforme in grado di valorizzare le potenzialità residue delle persone non autosufficienti con uno spettro adeguato di attività diversificate.

Attività, relazioni, impegni, buonvivere: la vita dei longevi al tempo della longevità attiva.
I numeri certificano il set articolato di attività che connotano la vita di tanti longevi: infatti, svolgono attività di volontariato regolarmente oltre 712 mila longevi e quasi 3,1 milioni di tanto in tanto; fanno regolarmente attività fisica, dalla palestra alla piscina, oltre 1 milione di longevi e oltre 2,6 milioni di tanto in tanto. 727 mila frequentano regolarmente cinema, teatro e musei e oltre 5,2 milioni vi si recano di tanto in tanto; 346 sono clienti abituali, regolari di ristoranti, trattorie e quasi 6,2 milioni vi si reca di tanto in tanto; giocano a lotto, superenalotto, scommettono in modo vario regolarmente 353 mila longevi e lo fanno di tanto in tanto quasi 4,4 milioni; frequentano regolarmente scuole di ballo, balere, locali in cui si balla 314 mila longevi e oltre 2,5 milioni di tanto in tanto; 151 mila viaggiano regolarmente all’estero e non lontano da 2,9 milioni di tanto in tanto. Guidano più o meno regolarmente l’auto circa 7 milioni di longevi. Inoltre, in ambito lavorativo, svolgono attività lavorativa regolare o in nero quasi 2,7 milioni di persone con 65 anni e oltre: 1,7 milioni lavorano di tanto in tanto e 929 mila con continuità. Oltre 407 mila longevi dichiarano che nel prossimo futuro proveranno ad avviare un’attività autonoma, da una piccola impresa ad un attività artigiana o commerciale o entrando come socio in una cooperativa, e oltre 225 mila nei prossimi anni si preparano a cercare lavoro. Sono numeri che descrivono in modo eloquente e impressivo cosa sia concretamente la longevità attiva nel quotidiano della nostra società.

Il welfare erogato dai longevi.
I longevi che si prendono cura di altre persone anziane parzialmente o totalmente non autosufficienti in modo regolare sono oltre 972 mila e 3,7 milioni lo fanno di tanto in tanto; oltre 1,5 milioni di longevi dichiarano di contribuire con i propri soldi alla famiglia di figli o nipoti, mentre sono non lontano da 5,5 milioni i longevi che lo fanno di tanto in tanto; oltre 3,2 milioni di longevi si prende cura regolarmente dei nipoti e quasi 5,7 milioni lo fanno di tanto in tanto. I longevi quindi non sono solo recettori passivi di risorse e servizi di welfare, ma sono tra i grandi protagonisti di una ridistribuzione orizzontale sia a vantaggio di altri longevi che delle altre classi di età. La bilancia del dare e avere tra generazioni deve tenere presente i rilevanti flussi di reddito che partono dal monte pensioni e arrivano ad integrare redditi familiari traballanti e/o a finanziare le spese impreviste e/o gli investimenti relativi all’acquisto casa e/o la formazione dei nipoti; deve tenere anche conto del care per i nipoti che consente a tante mamme di lavorare.

La dimensione finanziaria dell’assistenza ai non autosufficienti.
Nei diversi paesi europei il rebus principale riguarda il come finanziare questo segmento di welfare, visti gli elevati costi destinati a crescere ulteriormente dato l’invecchiamento della popolazione. In Svezia e nel Regno Unito si spinge per spostare gli anziani dalla soluzione residenziale, considerata troppo costosa, a quella domiciliare che dovrebbe essere più praticabile. Esplodono però i casi di cattiva assistenza che nel Regno Unito accendono il furore popolare, laddove emergono casi di maltrattamenti di longevi a domicilio da parte di operatori sottopagati e stressati dall’obbligo di rispettare tempi di intervento ridottissimi. Non c’è ad oggi un modello replicabile in toto o che si è affermato come benchmark. In Italia per la non autosufficienza si stima siano mobilitate rilevanti risorse private di longevi e famiglie: oltre 9 miliardi di euro per le badanti, 4,9 miliardi di euro per il pagamento delle rette per gli oltre 295 mila longevi ospiti di residenze; poi ci sono le risorse pubbliche come l’indennità di accompagnamento che risulta pari a 9,6 miliardi di euro per i longevi e a oltre 12,7 miliardi per il totale dei beneficiari. La spesa pubblica per la long term care per gli anziani non autosufficienti risulta pari all’1,28% del Pil, vale a dire circa 20 miliardi di euro, ed è aumentata del +0,21 in sei anni. Il futuro è legato alla valorizzazione delle redditività sociale di queste risorse, alla capacità di migliorare quello che viene finanziato e prodotto con esse.

Le risorse aggiuntive.
Se ad oggi la maggioranza degli italiani in caso di non autosufficienza conta sulle copertura di risorse non dedicate come i propri risparmi mobiliari e immobiliari ed il supporto dei familiari, dall’indagine è emersa una propensione potenziale degli italiani ad accantonare risorse dedicate a finanziare nel tempo forme di tutela dalla non autosufficienza: considerando le dichiarazioni soggettive degli occupati sono potenzialmente mobilitabili poco più di 17 miliardi di euro annuali.

È una cifra virtuale, puramente indicativa, eppure segnala una novità: la disponibilità dei non longevi a considerare un risparmio di lungo periodo specificamente dedicato alla tutela della non autosufficienza. Quindi vista la crescente attenzione nella cultura collettiva verso il rischio non autosufficienza, il timore che esso genera e la propensione potenziale ad investire nel tempo per costruirsi una tutela adeguata, si apre la partita del come mettere concretamente in movimento l’accumulo concreto di queste risorse. E’ una questione di prodotti assicurativi, di connotati dei soggetti chiamati a operare su questo mercato, e di modalità di promozione, anche fiscale, dell’importanza strategica che hanno per una buona longevità il ricorso a strumenti di assicurazione sociale per la non autosufficienza. La logica che la buona longevità si costruisce nella fase di vita non longeva deve sempre più valere anche per la dimensione economica: è questa la partita vera da giocare subito.

La relazionalità perno di un diverso modo di fare welfare.
Nei casi di eccellenza analizzati è fondamentale l’attenzione a creare contesti, luoghi, attività, progetti prorelazionali capaci di generare integrazione sociale oltre che servizi e prestazioni di qualità. E’ il caso del Civitas Vitae di Padova, esperienza top standard con un sistema di valori, frame organizzativi, strutturali e funzionali che possono costituire riferimento concreto per un welfare comunitario sostenibile. Di seguito ne viene offerta una sintetica presentazione.

 

 

 

 


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