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Mamme narciso, è davvero così?

Sono le donne che vivono la maternità come ostacolo all’autoaffermazione. Massimo Recalcati ha lanciato la questione con un articolo e con un libro in uscita. Vita.it ne ha ragionato con Chiara Giaccardi

di Anna Spena

Dopo il padre, dopo il conflitto di coppia, dopo la scuola, Massimo Recalcati approda al grande tema della madre. Lo ha fatto con un articolo pubblicato da Repubblica e presto con un libro in uscita da Feltrinelli. Recalcati nel suo primo intervento ha toccato un tema destinato a far discutere: quello delle “mamme narciso”. Cioé le donne che oggi, secondo Recalcati, vedono la maternità come un ostacolo all’autoaffermazione. Su Repubblica gli ha risposto  Chiara Saraceno. Vita.it ne ha parlato con Chiara Giaccardi docente di sociologia e antropologia dei media presso l’Università Cattolica di Milano. Donna “in carriera” ma anche madre di 6 figli.

 

È d’accordo con la visione di Massimo Recalcati? Esistono le “madri Narciso”?

Io sono d’accordo sul fatto che esista un problema serio con il narcisismo. Ma l’essere “narcisisti” è una fotografia della contemporaneità che si riflette in tutte le componenti della società, non solo sulle madri e sulle donne. Il problema è generale. È vero che siamo in una società di narcisi e usiamo gli altri come specchio per guardarci.

Nell’articolo pubblicato da la Repubblica Recalcati ha usato toni un po’ forti “le donne considerano la maternità come un sacrificio mortifero”…

Recalcati tocca un punto importate ma sbaglia a concentrarsi solo sulle madri. Il problema non è “il modello della madre perduto”, il problema serio è che noi tutti abbiamo perso la memoria del “legame di madre”. Veniamo dall’utero e dall’incontro di due differenze e questo non dovremmo mai dimenticarlo. La maternità è l’archetipo che sta alle nostre spalle, non un ideale normativo astratto a cui tendere, o da rifiutare. Tutti noi siamo stati accolti nel grembo, siamo esseri originariamente relazionali.  Oggi invece sprofondiamo nell’individualismo e sentiamo il legame come una minaccia. Da un lato abbiamo bisogno dell’altro, dall'altro lo vediamo come qualcosa che limita la nostra libertà. Questa è l’antropologia della contemporaneità.

Recalcati conclude il suo articolo con un’altra osservazione forse equivocabile :“Si è perduta la connessione che unisce generativamente l’essere madre dall’essere donna. Se c’è stato un tempo dove la madre tendeva ad uccidere la donna, adesso il rischio è l’opposto; è quello che la donna possa sopprimere la madre“. Ma che cos’è che rende realmente le persone generative?

Il tema della madre come archetipo è universale e non ideologico. La maternità non può essere concepita come un “dover essere”, ma deve essere considerata una memoria.Esistiamo grazie a questa relazione originaria, iscritta nel nostro corpo. Lo stesso ombelico dice di un legame che ci ha consentito di venire al mondo.  Quando manteniamo questa memoria (esistiamo perché siamo stati accolti), possiamo tutti essere persone generative, indipendentemente dal fatto di essere genitori biologici. La madre è una memoria relazionale universale. Dunque quando Recalcati individua nel narcisismo qualcosa che compromette la relazione non sbaglia. Ma l’etichetta applicata solo alla madre crea più confusione che comprensione della realtà.

Considerato che il problema è a carattere universale perché parlarne solo in riferimento alla maternità.  Non è l’ennesima differenziazione immotivata che si fa tra donna e uomo? Perché  pensare ad una “donna” e ad una “donna madre”? Questa è una costruzione sociale e storica più che altro…

L’essere umano è un animale simbolico. Le variabili storiche e culturali influiscono sempre tantissimo sui nostri costrutti, e la dimensione biologica è sempre plasmata culturalmente.  Recalcati parte dalla sua esperienza da psicanalista, dunque dalla dimensione più problematica del legame: l’asse è significativo ma circoscritto, realistico ma comunque parziale e non generalizzabile a tutte le madri, né riducibile alle sole madri. Lo spettro di comportamenti genitoriali nella nostra società va dall’infanticidio fino alla normalità, piena di tutte le fatiche che si fanno per andare avanti senza particolari patologie della relazione. In più, la maternità 'accudente' è una fase ridotta della vita delle persone, poi la relazione si ridefinisce su basi differenti. La fatica fisica più grande si riscontra quando i figli sono piccoli. L’importante è riuscire sempre vedere i figli come altro da sé.  Questo è il rapporto con l’alterità e non è mai semplice.

Ma nel contesto attuale, dove è evidente l’assenza di sostegni per conciliare la vita famigliare con quella lavorativa, come si raggiunge l’equilibrio?

Ci sono tanti modi, sempre sanamente "imperfetti" e tuttavia non patologici, di essere madre. Tutti questi modi si possono conciliare con la realizzazione del sé. Si fa fatica, ma la fatica ha un senso e non è nemica dell'autorealizzazione.

E invece come risaliamo dall’individualismo in cui ci siamo rinchiusi?

Ripensiamo alla forma della famiglia. La forma che conosciamo oggi può essere estremamente asfittica: usciamo dai luoghi comuni del padre, madre, appartamento, televisore e porta blindata. La "soluzione" alla crisi della famiglia e alla fatica della genitorialità  è relazionale. La relazione è la matrice degli esseri viventi, e anche di una vita vivibile. Più condivisone, nuovi modelli abitativi, reti di famiglie che si sostengono, più significative alleanze intergenerazionali. Oggi siamo più liberi, giochiamola bene questa libertà. E la maternità più sana è quella che non cade tutta sulle spalle della madre…


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