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Dieci parole per capire papa Francesco

Due anni di pontificato, segnati anche da un modo nuovo, sorprendente di comunicare. Bergoglio fa breccia grazie ad un linguaggio che non “fa mai la morale” ma arriva sempre alla sostanza delle cose

di Giuseppe Frangi

Non sono le parole chiave della sua visione, ammesso che “parole chiave” ne abbia. Ma sono dieci parole emblematiche del suo modo di porsi e anche di suggerire comportamenti diversi a chi lo ascolta. Sono parole a volte “laterali”, parole “periferiche, ma capaci di fare breccia con chiarezza. Sono parole che appartengono spesso più al lessico quotidiano che a quello ecclesiale. Questo a indicare di come il papa da una parte rifiuti un “gergo” che possa essere capito solo da chi “appartiene”. E dall’altra incita la chiesa a cambiare linguaggio per uscire dai suoi recinti

PRIMEAR. È il verbo a cui Francesco è più affezionato. Un verbo che non è traducibile in italiano e che il papa ha ormai normalizzato nella versione spagnola.   «Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino, e tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta, Gesù Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando. Lui è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la primavera».

GIUDICARE. «Chi sono io per giudicare». È la frase, riferita ad una domanda sui gay, che più di ogni altra ha segnato il discrimine di questo pontificato. Pronunciata sull’aereo di ritorno da Rio nel 2013, è stata per tutti un segnale di apertura senza precedenti. Ma c’è una parte di mondo cattolico che non l’ha mai digerita. Il papa precisa: «C’è tanta «perversione nel cuore di quelli che si credono giusti».

PERDONO. Una parola ribaltata nella sua dinamica. Il problema dice Francesco, non è che Dio non perdoni. È che l’uomo non chiede di essere perdonato. Se si chiede perdono, si è immediatamente perdonati («È una esagerazione! Il Signore esagera; ma è la verità, perché Dio, di fronte alla nostra conversione, ci dà il dono del suo perdono e perdona generosamente»). Una logica che trasferita da Dio alle relazioni tra gli uomini, cambia vita e convivenza.

SORPRESA. È il metodo con cui Dio si presenta agli uomini. Un metodo che spiazza sempre. «La visita del Signore, le sue sorprese, noi non possiamo gestirle. E di questo aveva paura Gerusalemme: di essere salvata per la strada delle sorprese del Signore». La sorpresa è anche la chiave delle dinamiche personali: aprirsi all’altro, vuol dire accettare di farsi sorprendere da lui.  

PASTORE. È colui che deve avere addosso l’odore delle pecore, aveva detto con un’uscita che aveva lasciato il segno nell’immaginario di tutti. Il pastore è colui che vive pelle a pelle con il suo popolo. «Il vero pastore, il vero cristiano ha questo zelo dentro: nessuno si perda! Per questo non ha paura di sporcarsi le mani: non ha paura! Va dove deve andare, rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche di perdere nella carriera ecclesiastica. Ma è buon pastore!».

GRATIS. È una delle categorie che definiscono il modo di agire di Dio. È gratis innanzitutto il suo amore. È lui che paga la festa, a cui sono invitati tutti. Ma questa gratuità deve plasmare anche le relazioni tra gli uomini: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

CREATIVITÁ. È una qualità in primis femminile: «Le donne portano la vita e vedono oltre, ci trasmettono la capacità di vedere oltre e di capire il mondo con occhi diversi, con cuore più creativo, più paziente e tenero». Ed è evidentemente una qualità di Dio: «Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare».

BREZZA. L’uso delle immagini è una delle caratteristiche del parlare di Francesco. Per qualificare l’azione di Dio, ad esempio, usa spesso la parola “brezza”: a testimoniare che non si fa vivo con effetti speciali, per trovate spettacolari. Riferendosi ad un passaggio del Libro dei Re, una volta ha detto: « «il Signore non era nel vento, nel terremoto o nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera: nella pace. O come dice proprio l’originale, un’espressione bellissima: il Signore era in un filo di silenzio sonoro».

LACRIME. Le lacrime sono un dono. Sono in particolare un test contro l’ipocrisia: «gli ipocriti non sanno piangere, hanno dimenticato come si piange, non chiedono il dono delle lacrime». E la cosa riguarda in primis la chiesa: «Ci farà bene chiederci: io piango? Il papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I sacerdoti piangono? I consacrati piangono? Il pianto nella preghiera».

CAMMINARE. È una parola cui il papa è molto affezionato. Qualcosa che semanticamente è diverso da “strada”: perché non è un camminare su una strada tracciata, ma un camminare che ad ogni istante apre la strada. Ha detto una volta: «San Tommaso ha una frase bellissima su questo: “È come andare verso quell’orizzonte che non finisce mai perché è sempre un orizzonte”. E allora come procedere con questo atteggiamento cristiano? Lui dice non spaventarsi delle cose grandi’.

 


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