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Così è nata la copertina di Vita

Un’immagine che ha riscosso grande successo sul web. È stata realizzata da Studio Fludd, un collettivo di tre giovani. Una di loro, Sara Maragotto, racconta la storia del gruppo e com’è stata pensata la copertina

di Anna Spena

«Wonderful», è stato il commento via Instagram di Chris Clarke, vice art director del Guardian. Il riferimento è alla nuova copertina di Vita di aprile. La copertina è firmata da Studio Fluud un collettivo di tre persone, Matteo Baratto, Caterina Gabelli e Sara Maragotto. «Ufficialmente siamo nati nel 2008» racconta Sara Maragotto. «Però è il risultato di un percorso, di una collaborazione e di un incontro di personalità artistiche molto diverse. Io, Matteo e Caterina, siamo tutti e tre originari del padovano. Con Matteo in realtà ci siamo conosciuti al liceo, siamo coetanei, abbiamo entrambi 28 anni. Caterina invece ne ha 30, con lei ci siamo conosciute all’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Anche Matteo ha studiato a Venezia, ha studiato design allo IUAV».

 

Come siete riusciti a conciliare così bene personalità artistiche diverse?

Dico sempre che noi tre siamo assolutamente complementari. Realizzare qualcosa insieme diventa quasi una staffetta. Ognuno ha le sue peculiarità. La cosa che però ci piace fare è unirle, tenerle insieme. Io e Caterina veniamo da una formazione più artistica, Matteo invece ha un background più improntato al design e alla progettazione. Unire queste due modalità diverse di agire e pensare alle immagini è uno dei nostri obiettivi principali: cerchiamo di dare più rigore progettuale alle cose più artistiche e viceversa.

Quanto ha influito la città di Venezia nel vostro lavoro?

Tantissimo. È stata una fonte di stimoli infinita. Ci ha mantenuto in una dimensione di gruppo protetta. Probabilmente, se fossimo stati a Milano, tutto sarebbe andato diversamente. Io direi che Venezia non c'è un vero e proprio network creativo.

Parliamo della cover di Vita del numero di Aprile, è stata molto apprezzata…

Il lavoro è venuto bene perché c’è stata una condivisione di idee quasi immediata. Il brief è stato chiaro. Abbiamo colto subito l’idea anche perché ci siamo ritrovati in questa concetto di mamma, di femminilità energica.

Si evince una certa materialità nella cover…

Sì, i cerchi laterali erano adesivi veri, poi sono stati scansionati al computer. Anche per la scritta mamma abbiamo usato la stessa tecnica: l’ho prima dipinta a mano e poi lavorata a computer. Anche l’aspetto cromatico è stato fondamentale, insieme ad una scritta cosi grande, è stato il punto massimo di forza espressiva.

In realtà, guardando il vostro sito, anche un occhio non esperto, percepisce una concretezza in tutte le opere…

È vero. Tutti i nostri lavori partono da un’immagine fatta a mano. Ciò che tiene in piedi i nostri progetti è l’aspetto manuale e artigianale. Solo il Software, troppo spesso, porta ad automatismi. Partire da una materia irregolare, partire da qualcosa che è fatto a mano con un suo carattere preciso, ci fa arrivare prima a quello che vogliamo.

Anche i colori dei vostri lavori colpiscono, sono diversi ma non stonano mai…

Sull’aspetto cromatico, tutti e tre, abbiamo raggiunto una sintonia inspiegabile. Ci piace armonizzare i contrasti, ci piace farli convivere: i colori fluo e quelli pastello spesso li usiamo insieme.

La cosa che più vi ha ispirato per le vostre opere?

Dobbiamo tantissimo alle immagini antiche. All’alchimia, alla rappresentazioni scientifiche.  Da qui nasce anche il nostro nome, Studio Fluud come Robert Fludd, medico e alchimista inglese un po’ pazzo. Io e Caterina abbiamo studiato le sue immagini in accademia.

Oggi è innegabile il valore sociale dell’arte, in tutti i campi e soprattutto a tutti i livelli…

Il carattere sociale dell’arte sta nella sua dimensione naturale. Non la studiamo a tavolino. Crea e unisce, questa è la vera caratteristica della creatività applicata.

È in quest’ottica che si è sviluppato il progetto Slow Wood?

Slow Wood è un giocattolo in legno per comporre fantasiosi panini con ingredienti inusuali. È un gioco per bambini e adulti, è una scultura manipolabile che coinvolge tutti in un inesauribile processo creativo. Con quest'opera sosteniamo il progetto "10.000 orti in Africa" della Fondazione Slow Food per la Bodiversità. 

Per concludere… le dimensioni più importanti delle vostra arte?

Una estetica e grafica, una sociale e anche una dimensione didattica. L’aspetto didattico ci interessa molto: lavorare in gruppo, focalizzarci prima sul processo e poi sugli esiti finali. Siamo circondati da una mole di immagini, strutturarle meglio è fondamentale sceglierle ed esprimere quello che vogliamo. Grazie alla didattica si costruiscono i percorsi.

 


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