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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cristiani, mettetevi in gioco

L'appello di Bergoglio a non rimanere muti ed inerti davanti alle persecuzioni spiegato dal teologo-biblista Brunetto Salvarani

di Martino Pillitteri

«Sulla persecuzione dei cristiani la comunità internazionale non sia muta e inerte», ha esortato Francesco Al Regina Coelinel lunedì dell’Angelo. «È un richiamo che richiede un lavoro complesso e impegnativo che il Papa ha rivolto alla comunità internazionale, ai cristiani e a quelli che chiamiamo i corpi intermedi della società civile» spiega Brunetto Salvarani, teologo-biblista docente di Teologia della Missione e del Dialogo alla Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna.

Professore, iniziamo dalla comunità internazionale.
«Chiariamo che il Santo Padre non sollecita nessuna guerra. È invece ipotizzabile l'auspicio di un’azione internazionale sotto l’egida dell’Onu. Ma attenzione, il coinvolgimento della comunità internazionale significa anche assumersi altre responsabilità come l'attuazione di politiche che intervengano efficacemente contro la fame nel mondo, contro la vendita di armi, che favoriscano la mobilità internazionale dei migranti, e si esca da quell’ipocrisia di fondo europea e americana che ha contribuito ad inventare la categoria dell’islam moderato delegando all’Arabia Saudita il ruolo di interlocutore privilegiato quando quel paese foraggia il fanatismo».

E i corpi intermedi della società civile cosa possono fare? «Devono fare il loro lavoro e farlo bene. Non sto parlano di grandi sistemi, ma semplicemente di eccellere nelle loro mission, investire in modelli positivi, promuovere le best practice, sostenere i diritti civili, lavorare sulla giustizia sociale, sviluppare relazioni, produrre conoscenza e cultura della pace, del dialogo e della solidarietà. Registro una mancanza allarmante di pensiero e di ragionamenti che spiegano cosa sta accadendo nel mondo. Non riusciamo ad andare oltre i numeri e i dati. 

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Non rimanere inerti significa anche mettersi in gioco e contrapporsi alla globalizzazione dell’indifferenza. Siamo sempre più indifferenti davanti alle ingiustizie sociali, economiche e politiche. Siamo staccati dalle dinamiche che non ci toccano direttamente. Il nostro eurocentrismo non ci sta facendo vedere che Bergoglio ha velocizzato il cambio di indirizzo di Dio. Le periferie del mondo sono sempre più centrali nelle dinamiche che stanno cambiando il mondo.  Preciso che quando parlo di conoscenza, mi riferisco anche al mondo islamico. Non conosciamo bene quel mondo e siamo superficiali nei confronti delle dinamiche che lo attraversano. La narrativa contemporanea si è focalizzata su un ipotetico scontro tra islam e cristianesimo. La stessa retorica del 2001. Ma non è così. Lo scontro è all’interno della galassia islamica tra modelli, stili di vita, atteggiamenti e potere. Oggi l’Isis ha vinto l’egemonia dell’immaginario, sta colonizzando le menti di chi si può ritagliare uno spazio e un ruolo da protagonista tra i confini che delineano un potenziale terreno di scontro. Paradossalmente l’ideologia jihadista è un pericolo per i musulmani stessi che vengono associati a quel brand pur rigettandolo».

E i cristiani come si devono mettere in gioco?

«Rilancio il concetto della lotta alla globalizzazione dell’indifferenza e l’investimento nell’educazione e nella formazione. Credo anche che bisogna ritornare ad essere convinti della forza rivoluzionaria della preghiera, forza di cui si sta perdendo traccia. Parlando di cristiani, ci tengo a sottolineare come siamo entrati in una fase nuova. Rispetto al passato, il nome cristiano è associabile a una situazione di martirio. In un contesto liturgico come quello pasquale, il Papa ha detto, con molta pacatezza, che nei luoghi dove il cristianesimo è giovane e in ascesa, esso è anche nel mirino. L’Africa è un paese strategico per il cristianesimo non solo dal punto di vista demografico; si sta anche rafforzando un imprinting sia sociale e politico».

Ci faccia un esempio

«Nelle ultime elezioni in Nigeria la partita se la sono giocata un candidato musulmano e un cristiano pentecostale. Se guardiamo bene a quello che sta succedendo in Africa, ci accorgiamo che oltre all’imprinting spirituale, il cristianesimo ha anche una prospettiva politica. I cristiani africani stanno riflettendo sulla loro centralità. Noi in occidente tendiamo a registrare freddamente i dati e i numeri ma non ci accorgiamo, come ho detto prima, che Dio sta cambiando indirizzo».

Foto Getty Images.


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