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Terzo settore e l’emergenza da “emergenza”

Emergenza è la parola-chiave: smuove alla commozione e, più prosaicamente, muove un mare di soldi. Ma che cosa accade se ogni problema diventa un'emergenza? Accade che per alcuni inizia un dramma nel dramma e, per altri, inizia la festa. Lo spinoso caso dei "profughi" e della loro accoglienza "emergenziale"

di Marco Ehlardo

Ricordo, quando ero bambino, tanti giochi in cui bastava pronunciare una parola e tutto improvvisamente cambiava. A nascondino era “tana”; poi c’era “stella” e tutti ci bloccavamo. E altre ancora.

Ecco, in un Paese che è un eterno bambino che stenta a crescere, succede la stessa cosa con un’altra parola magica: “emergenza”.

Negli ultimi mesi, ed insistentemente negli ultimi giorni, sentiamo pronunciarla costantemente in relazione ai flussi di immigrati verso l’Italia. Solo che, a differenza dei giochi di quando eravamo bambini, stavolta in ballo non c’è il divertimento innocente, ma due cose decisamente più significative: i diritti umani ed una montagna di soldi.

Dei diritti umani, diciamocelo francamente, alla gran parte delle persone, e persino ad una parte del terzo settore, non importa niente. Che un numero crescente di richiedenti asilo siano sistemati in condizioni inaccettabili, privi di assistenza efficace e con standard dell’accoglienza nemmeno lontanamente vicina ai minimi richiesti nell’UE, non indigna quasi nessuno. Anzi, c’è anche chi ci costruisce le sue fortune politiche dicendo che così è pure troppo.

Ma sui soldi il discorso è sicuramente diverso.

Come ha funzionato il trucco in questi anni? Semplice: si tiene in piedi un sistema di accoglienza “standard” sottodimensionato e rigido (seppur con dei miglioramenti negli ultimi anni) e alla prima persona in più che arriva (tra l’altro prevedibilissima, se consideriamo l’incredibile numero di conflitti in atto a due passi dall’Italia) si lancia l’urlo “emergenza!”.

E allora comincia la festa.

Per chiarire l’entità del fenomeno cominciamo dai dati del Ministero dell’Interno relativi ai numeri dell’accoglienza fino ad ottobre del 2014.

Nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) sono stati accolti 10.206 migranti.

Nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati sono stati accolti 18.697 migranti.

Nei Centri di accoglienza straordinari sono stati accolti 32.335 migranti.

Dunque più della metà sono finiti nelle strutture emergenziali. Considerando che i CARA poco si discostano in realtà, per qualità dell’accoglienza e sperpero di denaro, dalle strutture emergenziali, possiamo valutare che meno di un terzo dei migranti sono accolti in strutture idonee (o almeno presunte tali, perché anche lì ci sarebbe molto da dire in alcuni casi).

Al di là della qualità dell’accoglienza, quali sono le principali differenze tra le due forme della stessa?

Nel caso di progetto SPRAR, l’ente gestore percepisce una quota giornaliera per ogni accolto, con la quale, oltre a vitto e alloggio, garantisce una serie di servizi di tutela e per l’integrazione. Non tutti lo fanno nella stessa maniera, non tutti con lo stesso senso di responsabilità, ma almeno teoricamente funziona così.

In caso invece, ad esempio, di accoglienza in un albergo, la struttura offre solo vitto e alloggio, intascando la stessa cifra, se non addirittura superiore (in passato anche più del doppio). Inoltre non è affatto chiaro come vengano scelte queste strutture, o meglio in alcune zone sono veri e propri affidamenti diretti a strutture “amiche”, con buona pace di bandi pubblici et similia.

Ma ci sono anche casi su cui ci si dovrebbe quantomeno interrogare sul comportamento del Terzo settore nella stessa rete SPRAR.

Ad esempio l’ente gestore al quale vengono assegnati ulteriori posti in “emergenza”, che poi subappalta ad un’altra organizzazione. Anche qui ci sono già dubbi sul criterio di individuazione della seconda organizzazione (trattasi di scritture private e non bandi pubblici) e delle sue competenze.

Ma ancora più inquietante è il fatto che, in alcuni casi, l’ente gestore incassa la quota giornaliera, ma riconosce alla seconda organizzazione meno della metà di quella quota, intascando il resto (e c’è ancora chi le chiama ONLUS…). Che sia legale o no non lo so (ma ne dubito); il primo problema è la qualità del servizio che si può offrire in queste condizioni.

E il secondo grosso problema, come sempre, è il trattamento che percepiscono gli operatori sociali dell’organizzazione che lavora in subappalto; se con quella cifra si fa già fatica a garantire vitto e alloggio agli accolti (tornando tra l’altro allo schema del puro albergaggio), come si fa a pagare gli operatori in maniera seria? O addirittura non li si paga per niente com’è più probabile?

E poi che fanno gli enti controllori a monte? Comuni, SPRAR, Ministero dell’Interno: inconsapevoli o peggio sanno e chiudono più di un occhio?

E la parte sana del Terzo settore?

 

Marco Ehlardo (Napoli, 4 febbraio 1969) ha lavorato per oltre dieci anni a Napoli in servizi per migranti, coordinando un programma di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Dal 2011 ricopre il ruolo di Referente per la Campania di ActionAid Italia. Di recente è uscito per la Edizioni Spartaco il suo primo libro “Terzo settore in fondo: cronistoria semiseria di un operatore sociale precario.

 

Fotografia: Il Centro Identificazione Ed Espulsione Ponte Galeria a Roma


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