Cooperazione & Relazioni internazionali

Il ruolo dei leader religiosi nella prevenzione dei crimini atroci

Si è concluso a Fez il primo global forum che ha visto guide religiose di vari paesi e confessioni mettere le basi per un piano di azione per sviluppare e diffondere messaggi atti a contrastare l'incitamento all’odio.

di Redazione

Oltre 30 guide religiose da diversi paesi e confessioni si sono riunite per due giorni in Marocco nella città di Fez in occasione del primo forum globale promosso dalle Nazioni Unite (Ufficio per la prevenzione dei genocidi e la responsabilità alla protezione), dalla piattaforma interreligiosa KAICIID, voluta dal defunto re saudita Abdullah con base a Vienna, e dalla Mohammedia, la Lega dei sapienti musulmani del Regno del Marocco.
L’incontro si inserisce in un percorso iniziato nel 2011 su iniziativa dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU con l’auspicio che il “dialogo interreligioso diventi un mezzo essenziale per l’intervento delle guide religiose nella prevenzione di possibili escalation causate da un abuso della religione e tensioni tra comunità”.

Il meeting è stato il primo di una serie di forum che saranno realizzati prossimamente in diversi paesi, il cui programma è stato discusso a Fez, città storica per la tradizione sapienziale islamica, sede di una delle prime università al mondo e patria di nascita di influenti santi e sapienti.
ll Piano di Azione del programma verrà ulteriormente sviluppato l’anno prossimo nel corso di cinque incontri regionali dove i leader religiosi e le organizzazioni religiose lo implementeranno con nuovi elementi e dettagli. Il Piano di Azione, insieme ad una Dichiarazione verranno approvati da una sessione plenaria di leader religiosi prevista nel 2016.
Nella prima stesura del Piano di Azione i partecipanti hanno richiamato l'attenzione su otto aree di intervento principali:
 

  1. "Monitoraggio" dei fenomeni di istigazione alla violenza che potrebbero portare al compimento di Crimini Atroci per garantire una risposta differenziata ed efficace. Questa diagnosi verterà su domande come "Chi incita?" "Attraverso quale mezzo"? "Chi ascolta" e "Chi reagisce"?
  2. Sviluppare e diffondere messaggi "alternativi", atti a contrastare l'incitamento all’odio servendosi di tutti i canali mediatici, inclusi i social media;
  3. Ingaggiarsi nel dialogo con chi diffonde i messaggi di odio e il loro pubblico potenziale, al fine di individuare e suggerire incentivi per il cambiamento;
  4. Sviluppare percorsi educativi, revisionare i programmi di studio e di costruzione delle capacità: diffondere l’interesse e la curiosità verso tutte le culture e le religioni e comunicare il senso dell'importanza della convivenza civile;
  5. Impegnarsi nel dialogo interreligioso e intra-religioso e incrementare le attività in tali ambiti al fine di incentivare la comprensione, il rispetto e lo scambio. Questo potrebbe essere realizzato attraverso visite congiunte ai luoghi di culto, preghiere per la pace, e attività congiunte fra differenti comunità.
  6.  Impegnarsi nel dialogo su temi dibattuti: affrontare le tematiche difficili che vengono talvolta monopolizzate dagli estremisti, sottolineando i vari punti di vista e le sfumature, mirando al contatto con coloro che possono essere particolarmente vulnerabili alla propaganda dell’odio.
  7. Perfezionare la chiarezza del pensiero e del messaggio: riconoscere e rispettare il diritto alla libertà religiosa e di credo (articolo 18 del Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR)).
  8. Ingaggiarsi insieme ai leader politici: promuovere l'impegno tra leadership religiosa e politica per rafforzare il sostegno politico alla prevenzione dell’incitamento all’odio; prodigarsi per una riforma giuridica e politica conforme al Piano di Azione di Rabat (approvato a Rabat, Marocco, il 5 ottobre 2012).

Il piano incoraggia anche altre iniziative, tra cui la formazione al dialogo; la mappatura e la messa in rete dei leader religiosi di tutto il mondo che lavorano attivamente per prevenire o combattere l’incitamento all’odio; ingaggiarsi con i giovani e garantire la parità di genere in tutte le azioni proposte e intraprese.

“Alcune autorità religiose presenti al Forum di Fez hanno collegato le atrocità criminali ai problemi legati alla mancanza di libertà e di pari dignità del pluralismo religioso, altri ai problemi legati all’emarginazione sociale, alla povertà e alla mancanza di ignoranza – ha affermato il vice presidente della COREIS Italiana, imam Yahya Pallavicini, intervenuto i diverse sessioni del forum – Pur condividendo alcune di queste analisi, non mi sembra che siano mai proporzionate alla reazione violenta che alcuni provocano con stermini di massa nei confronti di famiglie intere con la falsa giustificazione di “rendere giustizia” all’onore perduto di una confessione religiosa. Al contrario, sono proprio questi criminali a reclutare in Oriente come in Occidente le persone facendo credere che la loro rivoluzione è la soluzione a tutti i problemi della società. Una tale strategia di incitamento alla violenza nasce invece dall’arrogante delegittimazione dei maestri autentici e dalla scarsa consapevolezza del patrimonio tradizionale dell’umanità che proprio tutte le religioni hanno sempre testimoniato”.

 

Oltre ad Adama Dieng (ONU, Consigliere Speciale per la Prevenzione al Genocidio) e Faisal bin Mu'ammar (Segretario Generale del KAICIID), segnaliamo fra i presenti:

Per l’Induismo, Swami Agnivesh dall'India
Per l’Ebraismo, Rav David Rosen da Gerusalemme
Per il Buddhismo, Sam Art Oeun dalla Cambodia
Per il Cristianesimo ortodosso greco, Metropolita Emanuel Adamakis
Per il Cristianesimo cattolico, Cardinale John Onaiyakan dalla Nigeria e Mons. Miguel Ayuso dal Vaticano
Per il Cristianesimo protestante, Pastore James Wuye dalla Nigeria
Per l’Islam sunnita, Ahmad Al-Abbadi, segretario generale della Mohammedia, Lega dei sapienti musulmani del Regno del Marocco
Per l’Islam sciita, Maythan Al Salman dal Bahrain
 

Foto: Fonte KAICIID.


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