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La sartoria etnica anti-emarginazione

A Caserta un’esperienza esemplare per il recupero delle donne immigrate costrette a prostituirsi. Che imparando a realizzare borse, coperte o zainetti ritrovano la dignità perduta

di Marina Moioli

Tutto è cominciato dieci anni fa grazie a una vecchia macchina da cucire recuperata per caso. Oggi la bella storia della cooperativa che salva dalla prostituzione e dall’emarginazione le immigrate che arrivano a Caserta è finita perfino sulle pagine del New York Times.

Si chiama New Hope proprio perché dà una speranza nuova a chi vuole integrarsi il laboratorio di sartoria etnica per la formazione e l'addestramento al lavoro pensato e realizzato dal centro di accoglienza Casa Rut delle suore Orsoline per giovani donne immigrate, sole e con figli, in situazione di difficoltà. Dal laboratorio escono borse, astucci, zainetti ma anche coperte, cuscini o bomboniere e tanti altri prodotti realizzati in tessuti etnici che vengono poi venduti online o nell’attigua Bottega Fantasia.

«L’iniziativa è stata avviata da suor Rita Giaretta, anima di Casa Rut e “madre” della cooperativa, come esperienza di formazione e avviamento al lavoro delle donne vittime di tratta. L’intenzione fin dall’inizio è stata quella di non fare del semplice assistenzialismo, ma di rappresentare un’ancora di salvezza dallo sfruttamento, dal lavoro nero, dall’umiliazione e anche dalla violenza», spiega Alessandra Casapulla, una dei tanti volontari coinvolti nel progetto. 

Sono cinque le migranti attualmente impiegate nella sartoria etnica, più due disabili provenienti dalla zona, ma in dieci anni sono state una sessantina le migranti passate da Caserta, che dopo un percorso personalizzato che varia da 3 a 6 mesi, hanno potuto dire addio allo sfruttamento e rifarsi una vita. «A indirizzarle alla casa di accoglienza sono la Questura o i Servizi sociali. La maggior parte arriva dopo aver denunciato gli sfruttatori, molte provengono da Ucraina e Romania, ma negli ultimi tempi abbiamo ospitato anche molte richiedenti asilo provenienti dall’Angola», commenta Alessandra Casapulla. A tutte vengono insegnate le basi del lavoro sartoriale e alla fine del percorso formativo tutte ricevono un attestato formativo. Il tirocinio è finanziato dalla Regione Campania, che fornisce a ciascuna tirocinante circa 500 euro mensili, mentre una fitta rete di volontari garantisce corsi gratuiti di italiano per stranieri. «Per fortuna siamo tanti, una quindicina di persone, e ci alterniamo per assistere queste ragazze nel loro percorso di integrazione», dice ancora Alessandra.

A garantire fantasia e creatività sono le ospiti straniere della cooperativa New Hope, inserita nella rete di Federsolidarietà Confcooperative Campania, che crea prodotti fatti con tessuti etnici provenienti dal Senegal, dalla Costa d’Avorio o dal Perù. Il modello più richiesto? «La borsa “Speranza” da cui è partito tutto il progetto dieci anni fa. Una borsa portadocumenti semplicissima che ci era stata commissionata per un convegno da una docente di geopolitica, Giuliana Martirani. Ce ne chiese mille esemplari e per confezionarli in tempo abbiamo fatto i salti mortali utilizzando una vecchia macchina da cucire», racconta Alessandra. Fu un tale successo che oggi la cooperativa è diventata anche presidio di legalità e luogo di dibattito sociale. E per sensibilizzare sempre di più le persone ai temi dell’integrazione ha ideato a fine marzo il New Hope Festival, con un concorso suddiviso in tre sezioni (narrativa, fotografia e video) che ha coinvolto anche le scuole.

 


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