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Sostenibilità sociale e ambientale

Cibo: un quinto di quello che mangiamo è prodotto in città

Secondo la Fao l’agricoltura urbana sta vivendo un vero e proprio boom: circa 800 milioni di persone al mondo infatti coltivano frutta e verdura e allevano animali a ridosso di marciapiedi e grattacieli. Una tendenza da valorizzare

di Gabriella Meroni

Non solo campagna, latifondi, frutteti e piantagioni. Inaspettatamente, per moltissimi cittadini del mondo il fondo agricolo non si trova tra boschi e prati, ma in città. La Fao calcola infatti che siano ben 800 milioni gli agricoltori urbani, a cui si deve il 20% della produzione agricola globale. Tecnicamente l’agricoltura urbana si definisce Upa (urban and peri-urban agricolture) e comprende tutte le coltivazioni e gli allevamenti che si trovano all’interno o immediatamente intorno alle città. Questo tipo di attività, sempre secondo la Fao, riguarda tipicamente la produzione di cereali, verdure, frutta e funghi (oltre a erbe aromatiche e medicinali e piante ornamentali) e l’allevamento dei più comuni animali commestibili (polli, conigli, capre, pecore, bovini, suini), oltre a dedicare spazio alla pesca. Uno spazio più residuale è occupato da attività quali l’acquacoltura e la legnagione.

«L’Upa contribuisce alla sicurezza alimentare di milioni di persone», sottolina la Fao, «specialmente in tempi di crisi». Ciò che viene coltivato in città viene infatti di solito consumato direttamente dagli agricoltori, mentre le eccedenze finiscono sui mercati locali a km zero, sempre più apprezzati da larghe fasce di popolazione. Di solito i prodotti vengono commercializzati a basso costo, dal momento che non hanno bisogno di trasporti e refrigerazioni particolari, e risultano in media più freschi e nutrienti di altri. Inoltre, sottolinea la Fao, la resa dei giardini e degli orti urbani è molto superiore a quella dei campi aperti: un solo metro quadro riesce a fornire 20 kg di cibo l’anno, risultando 15 volte più produttivo di una coltivazione rurale. Buone notizie anche dal punto di vista economico e occupazionale: l’orticoltura impiega infatti soprattutto donne e soggetti che faticano ad accedere al mercato del lavoro, e si calcola che 100 metri quadrati di superficie urbana coltivata possano generare un posto di lavoro. C’è un unico neo: l’inquinamento e la conseguente potenziale contaminazione del terreno, soprattutto nelle grandi megalopoli del sud del mondo. Un aspetto, conclude la Fao, a cui porre molta attenzione».


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