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Cooperazione & Relazioni internazionali

Qui Nepal: il punto sull’emergenza

Il punto sulla situazione nepalese raccontato da un’operatrice dell’organizzazione WeWorld. Priorità sono sanità, ripari temporanei, acqua e cibo, più di 80 mila bambini infatti sono a rischio malnutrizione severa e diverse zone sono ancora isolate

di Ottavia Spaggiari

“La situazione è tragica ma siamo in grado di lavorare.” A parlare è Maddalena Spada, responsabile dei progetti in Asia per l’ONG, WeWorld, volata a Kathmandu subito dopo il terremoto. Qui nella capitale, We World ha un ufficio stabile dal 2011, l’organizzazione lavora con diversi partner locali per promuovere soprattutto la scolarizzazione dei bambini. Dopo il sisma devastante dello scorso 25 aprile, dove sono morte oltre 7,500 persone, l’organizzazione si è attivata per far fronte all’emergenza. “L’emergenza ce la siamo trovata addosso. In questo momento di education nei villaggi non si può parlare, le priorità sono altre,” racconta Spada, “Abbiamo dovuto subito definire una strategia chiara per ottimizzare al massimo il nostro lavoro, nelle zone in cui lavoravamo già, forti anche del rapporto con i partner locali.” Anche We World, si sta attivando infatti nella distribuzione degli aiuti, per cui proprio i rapporti con le comunità locali, si sono rivelati fondamentali: “I partner sul territorio permettono di capire esattamente quali sono le necessità e inviare così esattamente quello di cui hanno bisogno(…)Inoltre vi è ancora un enorme problema di sicurezza, i camion degli aiuti vengono presi d’assalto dalla popolazione disperata, avere dei partner autorevoli tra le comunità locali aiuta anche a garantire la sicurezza.”

 Le grandi organizzazioni, come il World Food Programme stanno capendo proprio questo e, come spiega Spada, hanno chiesto alle ONG più piccole, che hanno più rapporti con i partner locali, report dettagliati per capire come arrivare meglio alle comunità del posto, in un momento in cui la situazione è ancora estremamente critica, più di 80 mila bambini sono in uno stato di severa malnutrizione, gli aiuti alimentari ancora stentano ad arrivare e, fino a ieri, il rapporto dello Humanitarian Response dichiarava che ci fossero solamente 2 elicotteri dedicati alla distribuzione di viveri, per raggiungere le zone più difficili. “Il Nepal ha una conformazione che rende estremamente complicato raggiungere le aree più isolate,” ricorda Spada. In questo momento è necessario assicurare la distribuzione di cibo, kit sanitari e tendoni di plastica, “Oltre l’80% delle abitazioni nelle zone colpite è crollato, bisogna dare alle popolazioni materiali per realizzare almeno un riparo temporaneo, tra poco poi arriverà la stagione delle piogge e i teli di plastica non saranno più sufficienti.” E se la priorità assoluta è fare arrivare gli aiuti, rifornirsi però non è una cosa scontata, l’aeroporto di Kathmandu ha avuto diverse difficoltà a smistare tutti i cargo arrivati e WeWorld sta lavorando per fare arrivare nuovi aiuti via terra, dall’India. “Non è semplice, bisogna avere dei buoni contatti sul territorio, ma alcune ONG nepalesi con cui collaboriamo sono in contatto con organizzazioni indiane che stanno mandando aiuti via terra, in questo modo riusciamo a ricevere gli aiuti in modo più rapido e sicuro”.

Secondo Spada l’emergenza immediata dovrebbe durare circa un mese ma il lavoro da portare avanti sul medio e lungo periodo richiederà un impegno enorme. Il terremoto ha avuto conseguenze devastanti sull’economia sociale, che la stagione della semina, per molti sembra essere compromessa e si prevede che potrebbero essere moltissimi gli abitanti delle zone rurali a indebitarsi per riuscire a sopravvivere a questo momento terribile.

 “Abbiamo partecipato a un fresh appeal delle Nazioni Unite, per impostare 41 centri di istruzione temporanea (temporary learning centers), così da offrire ai bambini un posto  al sicuro e permettere di continuare a studiare. Gli insegnanti  verranno formati per attivare progetti che aiutino i bambini ad elaborare il trauma del sisma.” Queste strutture verranno tenute aperte per circa tre mesi, poi bisognerà cominciare a lavorare al “dopo”. “Ci sarà un enorme lavoro da fare e, per la ricostruzione, sarà  fondamentale attivare la comunità locale.” 

Photo: PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images


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