Attivismo civico & Terzo settore

Se con la filantropia si può fare impresa

A Milano si è aperta la settimana dedicata alla filantropia internazionale, inaugurata dall’Assemblea annuale di Assifero e animata dai 600 delegati arrivati in città per l’Assemblea Generale dello European Foundation Centre. Ecco tutti i numeri delle fondazioni e perché la filantropia internazionale sta diventando, sempre di più uno strumento finanziario e politico

di Ottavia Spaggiari

Sono numeri da capogiro quelli delle fondazioni, in Europa e negli Stati Uniti, un patrimonio che, sempre di più, rappresenta una risorsa fondamentale per la società civile e per i governi, in un momento in cui le risorse pubbliche sono sempre più limitate.

In Europa le fondazioni sono 129 mila, con un patrimonio di 432 miliardi di euro e 52 miliardi di euro annuali devoluti a progetti ad impatto sociale e ambientale.

Negli Stati Uniti le organizzazioni filantropiche sono 86.192 e contano un patrimonio di 793 miliardi di dollari, con una capacità di donazioni di 55 miliardi di dollari all’anno. Il 70% possiede un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari e il 73% conta uno staff inferiore alle 4 persone.

Al centro della discussione, in quella che si presenta proprio come la settimana delle fondazioni, a Milano, iniziata con l’Assemblea annuale di ASSIFERO (l’associazione nazionale di categoria che riunione le fondazioni filantropiche italiane) e che procede con l’AGA Meeting (l’assemblea generale dello European Foundation Centre che riunisci le principali istituzioni filantropiche, a livello globale), sono proprio questi numeri e la trasformazione della filantropia in qualcosa di sempre più concreto e vicino ai cittadini, fino a diventare strumento finanziario e addirittura politico.  

 “La differenza principale tra la filantropia europea e quella statunitense è nella struttura, mentre negli Stati Uniti la maggior parte delle fondazioni sono esclusivamente di erogazione, in Europa, oltre a finanziare progetti  molte fondazioni, sono anche operative, sviluppano così dei programmi precisi,” racconta Brad Smith, presidente del Foundation Centre, il centro di studi e ricerca della filantropia internazionale, con base a New York eppure, nonostante le differenze, il mondo della filantropia sta cambiando da una parte all’altra dell’Oceano.

“Notiamo sempre più spesso che, in molti casi, il prestito è più efficace della donazione, perché incentiva l’iniziativa imprenditoriale, favorendo l’impatto sul lungo termine e su una porzione più vasta della comunità,” spiega Rien Van Gendt, economista olandese, vero e proprio guru del non-profit, oggi nel consiglio di amministrazione di alcune delle principali istituzioni filantropiche al mondo, tra cui il Rockefeller Philanthropy Advisors e il Jewish Humanitarian Fund. “Si tratta di instaurare un nuovo rapporto con i beneficiari e di acquisire un approccio diverso: per le fondazioni, quello dell’investimento ad impatto sociale e, per i beneficiari quello degli imprenditori.” Un passaggio che si sta verificando sempre più spesso, basti pensare all’approccio imprenditoriale di una delle organizzazioni filantropiche più innovative, l’Omidyar Network. Creata dal fondatore di eBay, Pierre Omidyar, l’organizzazione, a metà tra il fondo di investimento e la fondazione, che investe esclusivamente in imprese ad alto impatto sociale e ambientale, fornisce oltre al capitale anche consulenza strategica e formazione. “Non si tratta di un passaggio semplice, in realtà le donazioni possono essere molto più semplici degli investimenti. Molte fondazioni non hanno ancora personale specializzato da impiegare in programmi di investimento, cambiare approccio implica quindi uno sforzo notevole, che deve essere ponderato,” Continua Van Gendt, “In alcuni casi la donazione rimane la cosa migliore. Bisogna essere in grado di valutare ogni situazione, ogni progetto, avendo la consapevolezza che esistono strumenti diversi.”

Ma il ruolo delle fondazioni, secondo Gendt, non deve essere solo economico. “Nei Paesi Bassi alcune delle iniziative più innovative, sono portate avanti dalle fondazioni più piccole, impegnate nella promozione dei diritti civili e dei principi democratici, come la libertà di stampa e la lotta alla discriminazione. In alcuni casi le istituzioni filantropiche hanno avuto un ruolo politico e di advocacy molto importante.” Un caso su tutti, la lunga battaglia per garantire ai figli degli immigrati irregolari, oltre alla possibilità di studio, anche la possibilità di svolgere un tirocinio ed entrare poi, successivamente, nel mondo del lavoro. “Ci trovavamo davanti a questa enorme contraddizione, per cui in Olanda questi bambini avevano il diritto di andare a scuola, ma poi venivano tagliati fuori da un momento di formazione fondamentale come il tirocinio, perché non avevano il permesso di lavoro. Così un gruppo di fondazioni, si sono organizzate per pagare le multe che sarebbero state fatte alle aziende che avrebbero accolto questi ragazzi e fare poi ricorso in tribunale per mettere in discussione proprio questo provvedimento e fare advocacy nel mondo più efficace possibile.”

La filantropia insomma può diventare un agente di cambiamento, anche politico. Così la pensa anche Brad Smith. “La maggior parte dei contributi erogati dalle fondazioni, sono devoluti a progetti nell’ambito della sanità e dell’educazione, e questa è una cosa ottima e necessaria,” racconta Smith, “Eppure alcune delle iniziative più interessanti, sono portate avanti da quelle fondazioni impegnate nelle campagne più difficili e controverse. Negli Stati Uniti abbiamo alcune fondazioni che lavorano per difendere i diritti degli immigrati, delle minoranze e della comunità LGBTQ. Queste organizzazioni filantropiche sono quelle che più di tutte mettono a servizio della società, l’aspetto più unico e prezioso della filantropia: l’indipendenza.”


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