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Riabilitazione dei detenuti, anche l’America guarda a Padova

Semplificazione e risparmio nella gestione della vita penitenziaria; riduzione del tasso di recidiva; recupero dei legami familiari e positività di modelli offerti ai figli dei detenuti. Sono questi i motivi per cui la Cooperativa Giotto è un'eccellenza a livello mondiale

di Vittorio Sammarco

Officina Giotto”, come un piccolo capolavoro del grande pittore fiorentino.

È il nome della Cooperativa sociale che si occupa di riabilitazione e reintegrazione di detenuti e che oggi in un convegno a Regina Coeli ha presentato il suo modello, «Carcere e lavoro: un dialogo internazionale su un approccio innovativo di riabilitazione», che può essere un vero e proprio metodo applicabile in altri distretti (nel sistema penitenziario italiano, le eccellenze sono poche e ci si augura, ha detto il presidente della Cooperativa, Nicola Boscoletto, che nel tempo siano di più). Per almeno tre obiettivi, emersi dalla ricerca presentata dal curatore Andrea Perrone del Cesen (Centro studi Enti ecclesiastici e non profit, dell'Universita Cattolica): semplificazione e risparmio nella gestione della vita penitenziaria; riduzione del tasso di recidiva; recupero dei legami familiari e positività di modelli offerti ai figli dei detenuti. Impatti e risultati che si stanno monitorando anche nel confronto con altri Paesi.

Il tasso di recidiva effettiva, appunto, è ancora troppo alto: si attesta ad oltre il 70% di ex-detenuti tornati a delinquere dopo aver scontato la pena.

Per questo il lavoro della Cooperativa Giotto di Padova, che dal 1991 sviluppa percorsi lavorativi per i detenuti del carcere Due Palazzi della città, per cercare di contrastare il fenomeno è molto importante. È un'impresa sociale che interagisce con la pubblica amministrazione e ha diverse aree di lavoro: catering, pasticceria, ristorazione; fabbrica di valigie; officina di biciclette; sistemi per la digitalizzazione di documenti cartacei; call center.

Qualche numero.  Nel 2014 hanno lavorato a Officine Giotto 175 dipendenti, di cui 140 detenuti, il 16% della popolazione dell'istituto penitenziario, con pene per il 56% dai 10 ai 30 anni e il 16 per cento ergastolani. Il consorzio, globalmente, occupa 450 lavoratori di cui il 40% in condizioni di disagio. Il tutto coniugando professionalità imprenditoriale  e socialità. Nel 2014, ad esempio il call center ha gestito oltre 120mila prenotazioni sanitarie; la produzione di biciclette ha superato le 40mila unità; 84mila i panettoni e 25 mila le colombe, prodotte e vendute dalla pasticceria.

«Giotto offre un'alternativa concreta e credibile alle forme di controllo repressivo che restituiscono al termine del periodo di segregazione soggetti rancorosi e ritratti dai mondi sociali, spesso sorretti da un'identità negativa», ha detto Adolfo Ceretti, criminologo dell'Università Bicocca.

Rilanciate dalle parole del presidente Mattarella che nel telegramma ha inoltre sottolineato come sia importante «la cooperazione tra impresa sociale e istituzioni pubbliche per favorire la reintegrazione dei detenuti nel tessuto della vita sociale».

Un sistema apprezzato nel mondo, se Thomas Dart, Coock County Sheriff di Chicago, si è spinto a dire, «anche qui da noi in Usa il modello di recupero dei detenuti sta cambiando grazie a quello che abbiamo visto a Padova. Officina Giotto ci ha colpito molto perché ha portato una grande innovazione. Quello che ho visto è sorprendente – ha ribadito in un video intervista appositamente inviata per l'occasione  -. Il programma è stato  fonte di grande ispirazione anche per noi, e ora la nostra preoccupazione e poterlo replicare su una scala più grande. Sperando – ribadisce Dart –  che prenda piede in tutto il sistema giudiziario nel nostro Paese, in un ambiente molto chiuso e abbastanza cupo.

«Ma bisogna parlarne ancora, non far cadere l'attenzione su questo potenziale enorme, ha concluso Paola Severino, prorettore della università Luiss,  nonchè  ex ministro della Giustizia, perché», un calo di attenzione può riportarci ad un ritorno al passato favorendo l'idea di chi vorrebbe la detenzione nel carcere come la sola risposta al delitto, senza alcun investimento nel recupero e nella riabilitazione».
Lanciandosi in un impegno proposto alla Cooperativa: «Perché la prossima ricerca Che valuti l'impatto del lavoro dei detenuti nelle imprese non la facciamo in collaborazione tra Cattolica e Luiss? Sono prorettore dell'università e credo di poter i lanciare in questo impegno».
 


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