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Cooperazione & Relazioni internazionali

Una Chiesa che vince perdendo

Le reazioni caute della gerarchia sono indicative di un atteggiamento radicalmente cambiato nell’era di papa Francesco. Il paragone con il referendum del divorzio in Italia è emblematico

di Giuseppe Frangi

Cosa accomuna Dublino 2015 con Roma 1974? A distanza di 40 anni la Chiesa in due paesi cattolici si è trovata ad affrontare una sorta di cataclisma antropologico: cioè ha scoperto che la società stava allora in Italia e sta oggi in Irlanda andando tutta da un’altra parte rispetto a quello che era l’orizzonte morale e sociale del cattolicesimo. È quella che viene chiamata secolarizzazione e che sembra davvero un processo infinito di erosione della capacità della Chiesa di far presa sulla società e sui comportamenti delle persone.

Ma tra 1974 e 2015 è subentrata una differenza fondamentale: allora la Chiesa aveva reagito tentando una controffensiva, che l’avrebbe portata alla disastrosa disfatta del referendum sull’aborto nel 1981 (nonostante personalità autorevoli, con grande senso della realtà, avessero cercato di scongiurare questo muro contro muro: don Luigi Giussani per primo). Oggi le cose sono radicalmente cambiate.

Non è solo un cambiamento di strategia dettato dalla bruciante esperienza italiana. È un cambiamento di sostanza, che è poi il portato più importante e rivoluzionario del papato di Bergoglio.

Se si esaminano le reazioni della Chiesa, a partire da quella del primate irlandese sino a quella del segretario della Cei, Nunzio Galantino, si nota una riaffermazione delle posizione della Chiesa non in chiave polemica, ma come contributo ad una serietà del dibattito su famiglia e diritti civili. Non c’è nulla di impositivo, ma una sottolineatura di questioni che non possono essere eluse.

Ma qui siamo ancora in una prospettiva di strategia.

La prospettiva di sostanza è naturalmente più profonda, e riguarda un mutato sguardo della Chiesa di papa Francesco sul mondo. È una Chiesa che non sente più il mondo come ostile e nemico, che non chiude le porte davanti a nessuno e che quindi non pensa che un’irregolarità morale sia impedimento ad un incontro con Cristo. La predicazione di Bergoglio sull’adultera e sulla Maddalena è ben chiara su questo argomento.

Insomma tra 1974 e 2015 la prospettiva è cambiata radicalmente, e la Chiesa sconfitta dai numeri, oggi è sentita come compagna di strada anche da chi si è dissociato, con il voto, dal suo suggerimento. È una sorta di simpatia del mondo verso la chiesa di Bergoglio (e viceversa) che rende quello che sarebbe stato allora vissuto come un cataclisma, un inciampo nel percorso, attorno al quale lavorare senza fondamentalismi. Ieri Eugenio Scalfari concludeva così il suo editoriale domenicale: «Se c’è una persona in questo secolo che stiamo vivendo degna di essere presa a modello, questo è Francesco Bergoglio. Lui ha dato ad una umanità frastornata, avvilita, corrotta, frustrata, un esempio di dignità che tutti dovrebbero tentare di imitare con sincera riconoscenza». E questo vale per chi ha perso e per chi ha vinto venerdì a Dublino.


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