Welfare & Lavoro

In psichiatria ci sono ancora troppe porte chiuse

Metà dei fondi destinati alla salute mentale vengono assorbiti dalle strutture residenziali, dove la malattia diventa cronicità. I luoghi della soglia e del dialogo invece sempre più spesso sono chiusi. Una tre giorni per parlare di cura

di Sara De Carli

Apre oggi a Pistoia l’VIII Forum Nazionale Salute Mentale. Il fil rouge dell’incontro sarà la parola “cura”, per interrogarsi – scrivono gli organizzatori – «sull’incuria che non ha mai abbandonato il campo delle psichiatrie, denunciare la diffusione delle “strutture”, luoghi della cronicità, e il conseguente consumo insensato delle risorse, il dominio delle farmacologie, le porte chiuse, le contenzioni, l’isolamento, la persistenza delle nuove forme di internamento dopo l’Opg».

Quattro i grandi temi che verranno discussi, tutti in plenaria, in un programma che è volutamente parziale perché tutti sono invitati a prendere la parola. Nel corso della tre giorni saranno presentati una campagna per l’abolizione della contenzione e un appello per l’abolizione della misura di sicurezza, mentre verrà proiettato un video per la realizzazione del documentario “Padiglione 25”: un progetto per produrre un docu-movie sull’occupazione del manicomio Santa Maria della Pietà di Roma nel 1975, da parte di alcuni infermieri ispirati alle idee di Basaglia.

Peppe Dell’Acqua, già direttore del DSM di Trieste, riflettendo in vista del Forum, ha scritto che «le attuali forme organizzative, il modello medico-psichiatrico che sembra dominare, la prepotente autoreferenzialità delle stesse organizzazioni, la riproduzione di politiche regionali inconfrontabili finiscono per mettere all’angolo la storia, le relazioni, le passioni, i sentimenti, le emozioni.

Le donne e gli uomini scompaiono, diventa irrilevante il dolore della mente, incomprensibile la sofferenza umanissima. Nel panorama nazionale, purtroppo, questa è l’immagine dominante.

Peppe Dell’Acqua

Le risorse vengono consumate (distrutte) investendo nelle strutture residenziali che presuppongono e riproducono cronicità e nei servizi ospedalieri (e le innumerevoli case di cura) per l’acuzie. Tutto si consuma nel trionfo di una logica riduttiva e arcaica. Il Centro di salute mentale, il luogo della cura, dell’incontro, del riconoscimento, la soglia, si riduce ad ambulatorio, a luogo misero incapace di collocarsi nella città, nei luoghi dove si abita, dove si vive, dove è possibile l’incontro. Gli investimenti per queste politiche sono scarsissimi. Le culture della salute mentale scompaiono. La dimensione etica è sconosciuta. Quando i fili delle relazioni possibili diventano sempre più esili è perfino impensabile l’incontro. 
Non sono tuttavia né disperato, né pessimista perché vedo ovunque esperienze ricche di prospettive, cittadini e associazioni sensibili e partecipi, operatori competenti e generosi, forme di rapporto pubblico-privato che riescono a privilegiare progetti personalizzati di cura, progetti terapeutici riabilitativi, abitare assistito, formazione, lavoro, imprese sociali ricche di tensioni».

Ecco in sintesi le quattro aree di discussione. A questo link i contributi al dibattito già inviati.


Ripartire dalla porta aperta

È ormai evidente l'infragilimento dei Centri di salute mentale (Csm), sempre più spesso costretti a orari di apertura risicati, alla riproposizione di modelli ambulatoriali, alla frammentazione e alla discontinuità degli interventi. Un gran numero di servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), in conseguenza della debolezza dei servizi territoriali, hanno assunto paradossalmente una funzione dominante. I Trattamenti sanitari obbligatori (Tso) rischiano di diventare il dispositivo burocratico per tenere la distanza la pericolosità, l’incomprensibilità, la “aggressività del malato di mente”, alimentando i pregiudizi. I servizi di salute mentale restituiscono sempre più spesso immagini di chiusura, di oggettivazione, di assenza, di cui la contenzione e le porte chiuse sono gli indicatori più drammatici. Bisogna ripartire dalle porte aperte.

Oltre la chiusura degli Opg

Dibattito a cui parteciperà il sottosegretario alla salute Vito De Filippo. Il 31 marzo 2015, data in cui la legge ha sancito la chiusura degli Opg, sarà davvero un punto di non ritorno? La mobilitazione di StopOpg, il lungo e non facile percorso fatto, l’ostinata convergenza sull’obiettivo finale ha avviato un cambiamento tanto difficile da realizzarsi quanto insperato. Ora però è il momento di interrogarsi su cosa di quel processo di chiusura si è effettivamente realizzato in questi primi 60 giorni; sull’effettivo cambiamento che le Rems sono in grado di realizzare Regione per Regione; sul coinvolgimento dei Dsm e dei servizi sociali; sull’investimento coerente delle ingenti somme che il Governo ha reso disponibili.

Le strutture residenziali
Le “strutture residenziali” fagocitano piuù della metà dei bilanci regionali della salute mentale, già di per sé risicati. Così facendo rischia di diventare dominante la diffusione di luoghi di cronificazione.
Senza contare che questa tendenza riduce irrimediabilmente la capacità di intervento dei servizi territoriali. Bisogna allora ripensare alla presenza della cooperazione sociale, costrette ad appiattirsi su infelici politiche regionali. Le risorse passivamente dedicate alla “residenzialità” potrebbero essere sufficienti per ripensare forme diverse dell’abitare, dell’impegno lavorativo, del vivere sociale: i progetti riabilitativi individuali, dove attivati, producono risultati tanto evidenti quanto inaspettati.

Uno governo nazionale per la salute mentale
Le forme dell’organizzazione della salute mentale, spesso diversissime tra loro, finiscono per essere perfino inconfrontabili: è come se in Italia si fossero strutturati 20 differenti sistemi sanitari regionali. L’incertezza del diritto alle “buone cure” crea ingiustificate diversità nell’esigere il medesimo diritto costituzionale. L’assemblea dovrà ri-pensare al rapporto tra gli assetti regionali e una sensata, univoca, azione di governo nazionale. La stessa frammentazione tocca alla formazione degli operatori per la salute mentale: l’insegnamento della “salute mentale” non ha mai trovato posto nelle accademie, se non per pochissime lodevoli eccezioni. Alla fine della sessione sarà presentato il volume L’istituzione inventata. Racconto di un’esperienza. Trieste 1971–2010, a cura di Franco Rotelli, libro che racconta quel che un vasto gruppo di persone ha in parte fatto e in parte tentato di fare, lavorando a Trieste con Franco Basaglia e per altri trent’anni dopo la sua morte.

Foto scattate a "Impazzire si può 2014", a Trieste – http://www.news-forumsalutementale.it


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