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Costruttori di ponti in una società che costruisce muri

«Perché così tanti dal Papa? La partecipazione più numerosa di scout cattolici in un'udienza papale è certamente dovuta al carisma di Francesco, ma anche alla voglia di mettersi in cammino, di ascoltare e di condividere»

di Marco Angelillo

Un mare azzurro racchiuso dal bianco colonnato di Gian Lorenzo Bernini e dalla facciata della Basilica più importante per la cristianità e sorvegliato dalla schiera di santi scolpiti lungo tutto il perimetro della piazza. Così si presentava sabato scorso piazza San Pietro, quando 90-100mila scout dell'Agesci attendevano l'incontro con Papa Francesco.

Bambini, ragazzi e giovani accompagnati da giovani adulti e adulti non più giovani, provenienti da tutte le regioni. Uno spaccato importante della società italiana radunato sotto la bandiera di un'associazione che, fatto raro, affascina ancora centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze. A più di 100 anni dalla fondazione dello scautismo e del guidismo. La voglia di stare insieme e di condividere esperienze forti che aiutano a costruire il carattere e la persona, con spirito di comunità e servizio, nella natura e con una spiritualità insita in ogni avventura sono alcuni degli ingredienti base del metodo educativo scout. «La cosa più bella che ho fatto negli scout – racconta Daniele, 11 anni, di Alghero – è stata la giornata che abbiamo passato in una fattoria. Ho vissuto la vita della fattoria con gli animali, nell'orto, nei campi». E l'esperienza è il filo rosso che lega l'intero percorso. Ce lo conferma Lorenzo, 17 anni, di Imperia: «Non potrò mai dimenticare tutte le serate passate insieme intorno al fuoco e nemmeno il campo di servizio a Lourdes».

Perché così tanti dal Papa? La partecipazione più numerosa di scout cattolici in un'udienza papale è certamente dovuta al carisma di Francesco, ma anche alla voglia di mettersi in cammino, di ascoltare e di condividere. Ragazzi e capi cercano in lui e nella Chiesa serenità, speranza, accoglienza. Per Elisa, 20 anni, di Quarto d'Altino (Venezia) «la Chiesa è un luogo sul quale posso contare e dove posso sentirmi sicura». Sheza, 10 anni, pakistana che da 5 anni vive in Emilia, chiede al Papa «di aiutare la sua nonna che sta male» e invita Francesco nella sua Bologna. «La Chiesa sei tu, siamo noi, è il mio prossimo, anche se non è cristiano», chiosa Marco, 36 anni, insegnante di Vigevano ed educatore scout. Il bisogno di un incontro personale, fisico, con il Santo Padre è palpabile: i ragazzi lanciano centinaia di fazzolettoni – simbolo dell'appartenenza al gruppo scout – sulla jeep del Papa; lui ne afferra anche qualcuno al volo. Non si contano gli abbracci, le braccia protese alla ricerca di un contatto, le lettere consegnate personalmente o per interposta persona.

Arrivati con lo spirito del pellegrino, gli scout non si sono fermati di fronte alle difficoltà. Centinaia di gruppi romani hanno ospitato per una o più notti altrettanti fratelli provenienti dal sud, dal nord, dalle isole. Alcuni sono arrivati in treno e in aereo, molti in pullman e un gruppo di 17 ragazzi lombardi, campani, molisani, emiliani, piemontesi e laziali hanno percorso la via Francigena in bicicletta, sulle orme di milioni di pellegrini, da San Rossore (il luogo della Route nazionale 2014) a Roma: «La fatica ci ha temprati – raccontano – non ci siamo arresi. La condivisione ci rende forti e l’allegria batte il tempo. Ce l’abbiamo fatta. La comunità è pronta!».

Pronta a cogliere il messaggio di Francesco, che è chiaro, efficace, concreto: «Sono certo che l’Agesci può apportare nella Chiesa un nuovo fervore evangelizzatore e una nuova capacità di dialogo con la società. Mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore!».


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