Cooperazione & Relazioni internazionali

La drammatica testimonianza della responsabile Avsi in Sud Sudan

Il Paese è alla fame. Mentre le due fazioni dell’ex partito unico si fanno la guerra, si spostano un milione e 100 mila sfollati, la metà dei quali bambini. Migliaia di vittime, 500mila persone fuggite all’estero, tre milioni a rischio fame. È il drammatico bilancio del conflitto. Anna Sambo, responsabile AVSI in Sud Sudan, ci descrive il clima che si respira nel paese.

di Anna Sambo

Scrivere, ancora. Dopo una settimana qui, in mezzo al dolore. Si, nulla da dire di diverso. In mezzo al dolore. E non posso che usare parole spezzate, frasi spezzate.

Non si può dire quello che si vede e che rimane addosso. Non si può dire con delle frasi lunghe. Frasi spezzate. Mi accorgo allora, che sono io.

Sono io, qui. Queste persone che parlano, ti raccontano. Dicono il loro dolore.

Peter, bambino soldato, lo avevano arruolato nel 2013, aveva 14 anni. Lo avevano preso per fare l’autista. Bene. Guida. Lo portano al nord. Deve sparare. Ci dice che ora vuole andare a scuola, che ci vuole andare anche se i suoi genitori non capiscono il perché. Me lo sento in gola quel suo moto nel parlare. Da bambino. Che non capisce, ma che solo scappa dal dolore. Nessuno glielo ha spiegato quello che ha visto. Dice che la paura viene prima.

Lo dice cosi, sul più bello, dal nulla. Lo dice, come se dovesse giustificarsi per qualcosa. Come se dovesse trovare un senso. La paura è prima. «Prima tremi di paura».

«Poi, quando combatti, non hai più paura. Quando spari non hai più paura».

«La paura è prima. Poi ti urlano di andare. Sparare. Non hai più paura».

Come quando sono qui su queste strade, dove magari sparano. Le strade di cui parlano i bollettini dei combattimenti. Eppure, da Juba, fanno paura. Ma quando sei sulla strada non hai più paura.

Peter preferiva il dopo al prima. Preferiva gli spari. Senza capire. Un bimbo


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