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Busi: «La mercificazione del corpo è ovunque ma noi pensiamo alle trasgressioni»

Sul numero di Vita in edicola da venerdì 3 luglio una grande intervista al più eretico degli scrittori italiani apre un'intensa riflessione sul corpo: «Sul tema della maternità surrogata, non entra in gioco una questione di diritti, ma di mercificazione dei corpi delle donne». Ecco un estratto

di Marco Dotti

«Ho capito che tra le sentinelle reazionarie in piedi e gli intellettuali libertari seduti non c’è alcuna differenza. Fingono di leggere le prime — magari leggessero Pia de' Tolomei! — fingono di avere letto i secondi. E alla fine di tutta questa finzione, di tutto questo chiacchiericcio sul corpo altrui e mai sul proprio, che cosa resta? Non resta niente, si elidono a vicenda. È zero a zero per la crescita civile del Paese. Per non parlare, poi, dei gay e delle lesbiche che nemmeno hanno mai letto Aldo Busi. Un etero che lo abbia letto non sarà mai tanto omofobo come costoro». A parlare è proprio lui, Aldo Busi, scrittore, nato a Montichiari, provincia di Brescia, nel 1948. Un esordio folgorante con “Seminario sulla gioventù” (Adelphi), nel 1984, e poi un crescendo tra romanzi, reportage, traduzioni, lezioni e canzoni a partire da “Vita standard di un venditore provvisorio di collant”, uscito l’anno dopo con Mondadori, fino all’«autobiografia non autorizzata», “Vacche amiche”, apparsa nel marzo scorso per i tipi di Marsilio. A Montichiari, si legge nella stringatissima quarta di copertina che accompagna i suoi ultimi libri, Busi «mantiene la residenza fiscale». Nient’altro.

Ho capito che tra le sentinelle reazionarie in piedi e gli intellettuali libertari seduti non c’è alcuna differenza. Fingono di leggere le prime ingono di avere letto i secondi. E alla fine di tutta questa finzione, di tutto questo chiacchiericcio sul corpo altrui e mai sul proprio, che cosa resta? Non resta niente, si elidono a vicenda

Aldo Busi

Partirei da una questione, il corpo. Non si fa che parlarne, eppure mai come oggi il corpo è triste, frustrato…
Il corpo… Come dev’essere stato bello avere un corpo, nell’Ottocento. Come dev’essere stato bello darlo in pasto a chi in pasto lo dava, ai tempi in cui fiorivano i canti di Lautréamont e i “reati immaginari” quali l’eresia, la sodomia, la stregoneria cassati dal Codice Napoleonico non erano ritornati di nuovo in auge quali spauracchio dello stato di polizia organizzato dall’oligarchia politico-religiosa come accade nella Russia del demente aguzzino Putin! Tutto si articolava nel corpo, come in un grido. Adesso nel corpo rischia di articolarsi o, meglio, disarticolarsi non il grido, che non c’è più, ma il belare degli infanti a vita. Scrive Balzac che un uomo, quando si spoglia, togliendosi abiti, pantaloni, scarpe e ghette, è un uomo che ha perduto ogni potere sociale, perciò la nudità maschile genera imbarazzo a lui per primo se fosse esposta. Un uomo del genere, nudo nella sua intimità non condivisa, non è soltanto un corpo, ma un corpo che vuole tornare bambino, tale e tanto è il sollievo per essersi tolto quella corazza d’apparenza sociale. Quest’uomo, oggi, è regredito all’infanzia oltre ogni immaginazione: non legge, non riflette, guarda solo qualcosa che catturerà la sua attenzione per pochi secondi. È mercificato oltre necessità, per paura di valere di meno mette il cartellino del prezzo su tutto. La mercificazione del corpo la vediamo ovunque, nella scienza come nella pseudoscienza che l’aspetta al varco una volta smentita o superata, nella religione come nel religiosismo moral-sessual-sentimentale che nei secoli dei secoli è piccolo borghese e fedele alla propaganda che lo precede e che precede ogni dio catodico e laico. C’è un paravento scientifico ovvero scientista e superstizioso dietro il quale si nascondono le cose dell’autoritarismo finanziario funzionale allo stato di fatto e di stallo, e il corpo è tra queste, e questo stato di fatto e di stallo per funzionare ha bisogno che il corpo e la sua sessualità continuino a essere infelici, a crogiolarsi nel recinto delle cosiddette trasgressioni-regressioni licitate affinché l’essere umano resti nell’alveo della perversione, carissima da soddisfare senza peraltro soddisfarsi, e non pervenga mai alla versione gratuita, anticommerciale, rivoluzionaria, spauracchio di ogni dispotismo politico e assolutismo religioso.

(…)

La domanda sulla tecnologia si riduce a un ci terrà dentro o ci taglierà fuori dai suoi benefici? Lo abbiamo visto, in Italia, sulla questione della maternità surrogata…
Parto da un presupposto: non vedo, da parte mia, la necessità di perpetuare l’umanità. Anche se si estinguesse, che problema ci sarebbe? Prenderanno il sopravvento le formiche, topi, le cicale. Queste creature, chiamate oggi “insetti” e “roditori” e forse non a lungo, faranno altre piramidi, scriveranno in altre lingue, avranno un loro sistema mentale e psichico e di linguaggio, addirittura trasmissibile, e alla fine una specie prevarrà sulle altre e avremo un nuovo “umano” del tutto simile a quello contemporaneo, una bestia immonda sublimatasi senza ragione e per partito preso. Certo, per scongiurare la fine dell’umano attuale, qualcuno potrebbe avanzare l’ipotesi di ricorrere alla tecnologia, ma non mi pare sia il nostro caso, dato il sovrappopolamento mondiale, che neppure dalla recente enciclica di Bergoglio viene considerato un problema, nemmeno fosse un vezzo dei soliti criticoni apocalittici per niente. Non pensavo, invecchiando, di diventare tanto umanofobo. Non sono né misogino, né omofobo, né eterofobo. Sono però umanofobo, nel senso che ci sono dei comportamenti che non mi vanno, né negli uni, né negli altri, né in quegli altri umani-troppo-umani ancora. Non c’è etica civile concorde sulle nascite per rapporto all’ambiente e alle sue possibilità nutrizionali ed educazionali, questo è il problema. Sia la cultura sessuale e genitale cattolica che quella mussulmana non ci arrivano, loro continuano a dire “andate e moltiplicatevi”, sottintendendo “e portateci quel pane e companatico a noi santi e martiri che non possiamo né spostarci né procreare”. Allora, sul tema della cosiddetta maternità surrogata, è chiaro che non entra in gioco una questione di diritti, ma di mercificazione dei corpi delle donne che riduce questioni politiche a questioni private, intimiste, di bambini viziati che i giocattoli li devono avere tutti se no non si sentono dei mostri normali.

Non ti concedono il bambino in adozione o in affido secondo la tua disponibilità? Prima di metterne al mondo surrettiziamente degli altri tra coppie di qualsivoglia assortimento e l’utero in affitto di una qualche spensierata “donatrice” o di una poveretta schiavizzata e costretta a restare incinta da una gang specializzata nella tratta di esseri umani ab ovo e no, bisogna lottare contro l'idiozia pregiudiziale dei legislatori e avere accesso a queste adozioni ora proibite

Aldo Busi

Come possono non capirlo coloro che si stanno battendo per legalizzarla?
Forse lo capiscono, ma si credono dei salvati in un mondo di sommersi. A me un uomo che si stringe al petto villoso un neonato come se fosse appena uscito dal suo di grembo di puerpero fa prima sgomento e poi mi fa venire una ridarella irrefrenabile. Credo invece che bisognerebbe lottare per favorire l’adozione anche alle persone singole, punto. Non ti concedono il bambino in adozione o in affido secondo la tua disponibilità? Prima di metterne al mondo surrettiziamente degli altri tra coppie di qualsivoglia assortimento e l’utero in affitto di una qualche spensierata “donatrice” o di una poveretta schiavizzata e costretta a restare incinta da una gang specializzata nella tratta di esseri umani ab ovo e no, bisogna lottare contro l'idiozia pregiudiziale dei legislatori e avere accesso a queste adozioni ora proibite. Le scale non si fanno partendo dalla cima, se no è una discesa fintissima e trucida, perché non si dà discesa senza una salita. Io non vorrei mai essere stato generato da un ovocita estraneo alla potenziale fertilità di un uomo e di una donna senza terzi incomodi intorno, mentre me ne importerebbe una sega di essere un orfanello adottato da uno o due gay o da una affettuosa troia in pensione o da una coppietta di sposini della Barbagia o da tre lesbiche spiritose o da un’intera cascina di contadini di una volta, basta che da tutti riceva lo stesso tipo di affetto importante, ovvero affetto intellettuale e civile e pragmatico, che va ben oltre la ristrettezza, spesso plagiante e claustrofobica, dell’affetto del cosiddetto cuore. Per la mia tutela e integrità psicofisica, di un cuore amoroso e possessivo non mi fido, di una mente amorosa e vigilante, anche su se stessa, sì.

(…)

L'illustrazione in copertina sul numero di Vita in edicola è a cura di Arianna Vairo

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