Economia & Impresa sociale 

L’onda della crisi sull’impresa sociale

Più che raddoppiate le realtà in difficoltà, ma nel 2015 si scorgono segnali positivi. Il punto sulla Riforma del Terzo settore del sottosegretario Luigi Bobba

di Vittorio Sammarco

Sono tempi duri per il mondo della Cooperazione e dell'Impresa sociale, e non solo per gli scandali ben noti, ma soprattutto per una crisi che ha lasciato il segno negli ultimi anni. Per l’associazione Isnet che ha presentato oggi a Roma la 9° edizione del suo rapporto sull’Impresa sociale, sono più che raddoppiate le imprese sociali in difficoltà e dimezzate le organizzazioni in crescita, anche se cominciano a vedersi segnali positivi e di ottimismo (un’organizzazione su 3 prevede di realizzare investimenti nei prossimi 12 mesi).

Eppure è un mondo vivace che mostra tutta la sua capacità d’innovazione e d’impatto sociale, e soprattutto una grande capacità di mantenere buoni livelli occupazionali (solo il 24% delle imprese sociali e il 19% delle cooperative nel 2015 rischiano di diminuire il personale retribuito, per tutte le altre si manterrà invariato o aumenterà).

“Al pari delle altre anime del Terzo settore, come l'associazionismo e il volontariato, questo mondo -ha affermato Edo Patriarca, deputato e presidente del Centro nazionale di Volontariato – sta facendo la sua parte per contribuire alla tenuta economica e alla coesione civile… Tutte queste indagini confermano che il Terzo settore è all'altezza della sua storia se accoglie la sfida di stare sulla strada, sul confine, sulla frontiera, altrimenti è destinato all'irrilevanza e al declino”.

Proprio per questo – sostiene Patriarca – il legislatore ha posto su di esso una particolare attenzione nella legge Delega di riforma del Terzo settore in discussione al Senato dopo l’approvazione alla Camera, perché – precisa -è stato storicamente sottovalutato rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei.

Disegno di legge che – secondo Patriarca – dovrebbe essere licenziato in Commissione al massimo nei primi giorni di agosto (dopo l’esame degli emendamenti previsto nella prossima settimana), per una definitiva approvazione alla ripresa di settembre. Tempi che si allungano un po’ rispetto al previsto, ma ci siamo.

Credo che il Senato approvi la Riforma del Terzo settore entro i primi giorni di agosto

Edo Patriarca, deputato PD

Proprio sulla valutazione di questo progetto di riforma del Terzo settore, ha indagato Isnet presso i responsabili del mondo dell’Impresa sociale e delle Cooperative, rilevando che conoscono la Riforma nel primo caso il 72% dei dirigenti interrogati e nel secondo oltre il 78; ne condividono in buona misura l’impianto, ma su due punti esprimono criticità: la possibilità per le imprese sociali di distribuire utili entro certi limiti (d’accordo circa il 15%); e la possibilità che le cariche all’interno di una impresa sociale siano svolte anche da soggetti che vengano dal profit o da Enti Pubblici.

Su questi punti, Luigi Bobba, sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha detto con forza che non c’è nulla da temere: sulla prima questione, afferma, “penso che siano costruiti tanti fantasmi. Non abbiamo inventato niente, abbiamo messo quello che esiste nelle cooperative di mutualità prevalente. C'è già nella legislazione italiana, in una certa misura, la possibilità di distribuire utili anche in soggetti con forma cooperativistica. Vogliamo soltanto attrarre nell’area della cooperazione sociale soggetti (esempio i Fondi pensione), che già investono in misura limitata i propri capitali in altri settori: perché non concedere loro che lo facciano anche nella cooperazione, attività che genera ricchezza e lavoro? Certo ciò può far correre qualche rischio, ma conviene correrlo per aumentare le risorse.

Sulle cariche, il sottosegretario dice che la questione è collegata a un altro articolo che tratta della possibilità di gestire un enorme patrimonio di beni immobiliari, sottratto alla criminalità o abbandonato dal pubblico; quel patrimonio, afferma Bobba, che altrimenti rischia di diventare proprietà del profit. Se le Imprese sociali o le Cooperative vogliono utilizzarlo, devono prevedere una forma di collaborazione strutturata con gli Enti che le assegnano. Un rischio da correre anche qui.

Vogliamo soltanto attrarre nell’area della cooperazione sociale soggetti per esempio i Fondi pensione, che già investono in misura limitata i propri capitali in altri settori

Luigi Bobba, sottosegretario al Welfare

Ma l’osservazione più interessante e non evidenziata, viene da un’altra ricerca che mette in evidenza, secondo Bobba, la presenza di circa 85mila associazioni che, trovandosi dopo anni a gestire circa il 50% del proprio fatturato dalla produzione e vendita di beni e servizi, di fatto si stanno proiettando (da semplici associazioni che erano) verso il mondo dell’Impresa sociale . “Allora noi vorremmo, afferma, che si prendesse con decisione questa strada, assumendone anche, se è il caso, la forma giuridica”. Ma l’attribuzione “automatica” della qualifica di impresa sociale raccoglie pareri negativi da parte delle cooperative sociali che hanno già la qualifica di impresa sociale, poiché ritengono sia discriminatorio rispetto ai processi che in primis hanno dovuto sostenere per ottenere il riconoscimento. Dibattito aperto.

E’ un mondo imprenditoriale che si sente realmente competitivo – rileva Laura Bongiovanni, presidente dell’Associazione Isnet – approfondendo l’esame della ricerca, tanto più quanto realmente sta sul mercato differenziando le relazioni con clienti e aziende e non dipendendo più solo dal settore pubblico.

Infine ci sono due fattori che Bongiovanni considera prioritari per un vero salto di qualità: la capacità di misurare, valutare, quantificare l’impatto sociale sul territorio derivante dal lavoro svolto, “fanno molto a sostegno delle comunità, occorre darne maggiore evidenza attraverso strumenti di controllo dei risultati sociali”, afferma. E poi non basta fare il bene , bisogna saperlo comunicare, raccontare farlo capire mettendolo più evidenza: "È arrivato il tempo – conclude Bongiovanni – perchè l'impresa sociale si attrezzi al meglio per rendere conto del valore sociale prodotto sul territorio. Noi lo sappiamo perché lo seguiamo parecchio. Molte di queste aziende sono capaci di fare il bene: ora bisogna essere capaci di dirlo, e di dirlo con il supporto necessario di dati".


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