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Il Papa: «Il benessere che punisce la terra»

Il viaggio di Bergoglio in Sud America è quasi un’appendice della recente enciclica. C’è una ricchezza di pochi che distrugge il bene di tanti. E il cambiamento è solo nelle mani dei popoli

di Giuseppe Frangi

Quando il benessere distrugge il bene comune. È una formula semplice e sintetica con cui il Papa ha voluto ancora una volta chiarire il suo pensiero su questo momento della storia. Lo ha fatto più volte in questo viaggio sudamericano, facilitato da quella familiarità di fondo che si respirava in ogni incontro, e dal fatto di poter parlare nella sua lingua madre. Questo viaggio si sta dimostrando un’appendice naturale dell’Enciclica appena pubblicata. Quasi un esercizio di prassi, dopo aver espresso la teoria.

«Molto facilmente ci abituiamo all'ambiente di iniquità che ci circonda, che siamo diventati insensibili alle sue manifestazioni», ha detto al suo arrivo a La Paz, capitale della Bolivia. «E così confondiamo, senza accorgercene, il "bene comune" con il "benessere", e lì si scivola, a poco a poco, e l’ideale del bene comune, poiché si va perdendo, finisce nel benessere, specialmente quando siamo noi quelli che ne godiamo, e non gli altri».

Il benessere è oggi una prospettiva egoista; il bene comune invece costituisce «un passaggio da ciò che “è meglio per me” a ciò che “è meglio per tutti”, e comprende tutto ciò che dà coesione a un popolo».

Gli esiti del benessere di pochi sono descritti in termini quasi crudi nell’incontro con i Movimenti popolari avvenuto ieri sempre in Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra.

«Si stanno punendo la terra, le comunità e le persone in modo quasi selvaggio», ha gridato Bergoglio. «E dopo tanto dolore, tanta morte e distruzione, si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea – uno dei primi teologi della Chiesa – chiamava lo “sterco del diavolo”. L’ambizione sfrenata di denaro che domina. Questo è lo “sterco del diavolo”. E il servizio al bene comune passa in secondo piano. Quando il capitale diventa idolo e dirige le scelte degli esseri umani, quando l’avidità di denaro controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare uno schiavo, distrugge la fraternità interumana, spinge popolo contro popolo e, come si vede, minaccia anche questa nostra casa comune, la sorella madre terra».

Ma di fronte a questa situazione, come non rifugiarsi in quello che il Papa definisce con efficacia «l’eccesso diagnostico che ci porta a un pessimismo parolaio»?

È per rispondere a questa tentazione che il Bergoglio introduce la novità più significativa. Dice che la regia e la guida del possibile cambiamento non potrà certo essere affidata all’attuale nomenklatura che tiene le redini del mondo, ma ci vuole un passaggio di mano.

«Cosa posso fare io, raccoglitore di cartoni, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice, di fronte a problemi così grandi, se appena guadagno quel tanto per mangiare? Cosa posso fare io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori?», chiede il Papa, con un elenco di soggetti che continua a lungo.

Poi risponde: «Potete fare molto! Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell'umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative… Non sminuitevi!»

E poi ancora: «Voi siete seminatori del cambiamento. Che Dio vi conceda coraggio, gioia, perseveranza e passione per continuare la semina!’. E per finire: «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento».


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