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I 500 anni del primo prete di strada

È San Filippo Neri, che nasceva il 21 luglio del 1515. È lui ad aver avuto l’idea dell’Oratorio, luogo di preghiera e di allegria. E fu lui a ricordare alla chiesa che doveva stare dalla parte del popolo

di Giuseppe Frangi

È stato il primo prete di strada. Ed è il patrono dei giovani. Era nato proprio il 21 luglio, di 500 anni fa a Firenze, ma ha legato la sua vita ad un’altra città: Roma. È Filippo Neri, l’uomo a cui dobbiamo un’idea che oggi è diventate categoria comune e diffusa: l’oratorio.

Una storia iniziata nel 1575 quando Papa Gregorio XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella istituendo la “Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda”. Roma era una città a due livelli: la città dei ricchi e dei potenti, e quella dei bassifondi, del popolino, abbandonata a se stessa. Filippo senza se e senza ma, scelse di stare in questa seconda città, prendendo tutti in contropiede per l’allegria con cui svolgeva pur in condizioni pesanti, questa sua missione.

Era una Roma malridotta quella di allora, ancora segnata dal passaggio dei Lanzichenecchi nel 1527, dove i bambini si ammassavano per strada, senza casa e spesso senza famiglia. È per loro che si inventò l’”oratorio secolare”, un luogo dove preghiera, lettura, musica e svago andavano di pari passo. Luogo aperto, che divenne scuola di educazione per i ragazzi, seguendo una pedagogia straordinariamente moderna, in cui la logica punitiva veniva soppiantata dalla forza della pazienza. “State bboni se potete…” era il suo refrain diventato celebre e diventato anche titolo di un film (diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli nella parte di Filippo).

Nel 1558 aveva ottenuto di poter realizzare il primo Oratorio sopra la navata della chiesa di Santa Maria in Vallicella. Ogni giorno dopo pranzo, nel sottotetto, aveva luogo l’Oratorio guidato da San Filippo. Riusciva a sopportare la vivacità dei giovani e tutto il chiasso che provocavano, tanto che un giorno un gentiluomo romano chiese a San Filippo come mai riuscisse a non infastidirsi mai. «Purché non facciano peccati, nel resto sopporterei che mi tagliassero le legna addosso» gli rispose Filippo.

Non voleva che i giovani stessero scontenti o pensosi perché quello stato lo considerava un danno. Se vedeva qualcuno che non era allegro, subito lo avvicinava, gli parlava al cuore cercando di scoprire il motivo di quella tristezza e poi con un solenne schiaffo lo esortava: “Stai allegro”. Controllava che i ragazzi fossero sempre occupati e mai in ozio. Per questo a volte comandava loro di spazzare la sua camera, di rifargli il letto, di trasportare mobili da un posto all’altro, di costruire corone del rosario e di leggere qualche libro.

Come ha detto papa Francesco, con Filippo «si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede… gli esercitò un apostolato della relazione personale e dell’amicizia, quale via privilegiata per aprire all’incontro con Gesù e il Vangelo. Così attesta il suo biografo: «Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”. Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane».


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