Cooperazione & Relazioni internazionali

L’Europa fermi l’Ungheria, la costruzione del muro anti migranti è una minaccia anche per noi

Intervista a Milena Santerini, nominata presidente dell’Alleanza parlamentare contro intolleranza e razzismo dal Consiglio d’Europa. «Altri paesi stanno già seguendo l’esempio del premier ungherese Orban, nuovi muri si alzano in tutta Europa. Ma in Italia chi parla di emergenza profughi non conosce i numeri»

di Martino Pillitteri

«Adesso deve intervenire l’Unione Europea. La comunità internazionale deve far sentire la sua voce per fermare la costruzione del muro ungherese. Siamo nel 2015, pensare di alzare una barriera per bloccare il passaggio dei migranti è una follia, oltre che un’iniziativa di chiusura nazionalistica». Milena Santerini è una deputata del gruppo Per l’Italia – Centro Democratico. Docente all’Università Cattolica di Milano e aderente a Democrazia solidale, si occupa da tempo della lotta alle discriminazioni. Un impegno riconosciuto anche a livello internazionale: da qualche settimana il Consiglio d’Europa l’ha nominata presidente dell’Alleanza parlamentare contro l’intolleranza e il razzismo. «E sa qual è l’aspetto davvero inaccettabile della vicenda ungherese? – continua – Di fatto, il premier ungherese Viktor Orban vuole far pagare a noi quel muro. Lo scorso primo luglio i ministri dell’Interno di Serbia, Austria e Ungheria hanno firmato un memorandum d’intesa per il rafforzamento dei controlli delle frontiere. In quel documento viene chiesto all’Ue di aumentare i fondi a disposizione di Frontex, per concentrare più attenzione ai flussi migratori nell’area balcanica».

Lei chiede un intervento dell’Europa, intanto la costruzione del muro procede.
I lavori sono iniziati da una decina di giorni. Come raccontano alcuni giornali internazionali le ruspe sono già entrate in azione nella cittadina di Morahalom, al confine con la Serbia. Secondo le prime indicazioni la barriera, alta 4 metri e lunga 175 chilometri, doveva essere terminata alla fine di novembre. Ma il premier ungherese ha anticipato i tempi: il muro sarà completato entro il 31 agosto, con tre mesi di anticipo. L’Europa deve sbrigarsi.

Orban sostiene che l’immigrazione illegale è una “minaccia per l’Europa”. Che il muro permetterà di limitare dell’85 per cento il passaggio dei migranti. L’Ungheria non ha il diritto di difendersi?
Una minaccia? Qui si parla soprattutto di gente che scappa da guerre e carestie. Rifugiato non è sinonimo di delinquente, ma di persona che ha il diritto di trovare asilo. Ripeto, il muro ungherese è un progetto improbabile, ma soprattutto antistorico. Nel 1989 l’Ungheria è stata il primo Paese a smantellare la cortina di ferro con l'Austria. Rattrista che solo 25 anni dopo si sia persa la memoria di quanto possano essere odiose queste separazioni. Senza dimenticare la questione politica. Anche perché i rischi di questa nuova tendenza isolazionista riguarderanno tutti noi. Se non saremo capaci di una politica comune, l'Europa può rapidamente tornare al fascino dei nazionalismi.

Crede che altri Paesi europei potrebbero seguire l’esempio ungherese?
Temo di sì. È paradossale, ma nell’Europa senza frontiere si alzano le barriere per bloccare l’accesso dei rifugiati. A Ceuta e Melilla la Spagna impedisce l'accesso dal Marocco, muri nascono tra Grecia e Turchia. Pare ne sorgerà uno a Calais, tra Francia e Inghilterra. Adesso tutti apprezzano la rivoluzione di Papa Francesco, ma in pochi sembrano aver ascoltato le sue parole. Nel suo recente viaggio in Sudamerica anche il Pontefice ha ricordato che «bisogna costruire ponti piuttosto che erigere muri».

Ammetterà che la questione migranti è diventata un’emergenza di difficile soluzione.
Prima di parlare di emergenza bisogna vedere i dati. La scorsa settimana è intervenuto in Parlamento il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento immigrazione del Viminale. I numeri che ha presentato in commissione sono fin troppo espliciti: nei primi sette mesi dell’anno sono arrivati in Italia 85mila migranti. Una cifra in linea con i dati del 2014, quando in totale sbarcarono sulle nostre coste 170mila immigrati. Sa qual è la differenza? Adesso i partiti populisti soffiano sul fuoco della protesta, alimentano i timori dei cittadini per uno squallido tornaconto elettorale. Io preferisco vederla diversamente. Un Paese di 60 milioni di abitanti non può parlare di emergenza di fronte a 80mila immigrati. Per risolvere la questione basterebbe che ognuno degli 80 comuni italiani ne accogliesse una decina. Non mi sembra uno sforzo sovrumano.

L’Italia come sta rispondendo?
Si può sicuramente fare di più. Come ha spiegato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, davanti al flusso di migranti non sempre l’Unione Europa riesce a dare una risposta ”degna della sua storia e della sua democrazia”. Qui non si tratta di nascondere i problemi di un fenomeno epocale. Ma dobbiamo ammettere con realismo che l’operazione Triton di Frontex offre ancora scarsi mezzi di soccorso in mare. Mancano i luoghi di accoglienza. E non tutte le Regioni si fanno equamente carico di questa necessità. Penso al Veneto e alla Lombardia, che rispetto a molte realtà meridionali sembrano volersi sottrarre al proprio dovere civile. Del resto aiutare chi chiede soccorso è un dovere morale in cui moltissimi cittadini credono, anche se non fanno notizia.

Eppure molti italiani non sembrano d’accordo. Basta pensare alle recenti rivolte a Roma e Treviso.
Gli scontri di cui si parla sono la reazione di pochi cittadini strumentalizzata dai movimenti populisti di questo Paese. Poche decine di persone – a Casale San Nicola gli incidenti dovevano fermare l’arrivo di 19 rifugiati – non possono preoccupare un quartiere. Né una grande città come Roma. Purtroppo ci sono partiti politici che speculano su questi conflitti, sperando di passare all’incasso al momento delle elezioni.

E allora qual è la soluzione?
Anzitutto la politica dovrebbe impegnarsi per aumentare le commissioni che valutano le domande di asilo. È importante accorciare i tempi di risposta senza costringere a lunghe attese chi ci chiede aiuto. Più in generale servono nuovi canali di arrivo. Chi fugge da guerre, carestie e violenza deve poter chiedere asilo già in centri sicuri nei Paesi di transito. Non dobbiamo più costringerli ad affrontare i pericoli del mare. Il Mediterraneo ha già visto troppe tragedie. Servono più mezzi per i soccorsi, ma anche sostegno europeo alle nazioni maggiormente esposte, come l’Italia e la Grecia. Soprattutto il nostro governo deve impegnarsi per chiedere la revisione del Trattato di Dublino, che impone di chiedere asilo solo nel primo Paese di arrivo, ignorando quasi sempre il diritto al ricongiungimento familiare. Già, perché in pochi lo dicono, ma la stragrande maggioranza dei migranti che arrivano sulle nostre coste non ha alcuna intenzione di rimanere in Italia. Quasi sempre vogliono raggiungere altri Paesi, sognano il Nord Europa.

Foto: getty


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