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Migranti, come sarà l’accoglienza in parrocchia?

Il direttore di Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo, spiega il progetto che vuol coinvolgere le comunità parrocchiali e rilanciato con forza dal cardinale di Milano Angelo Scola

di Antonietta Nembri

L’invito alle parrocchie della diocesi ambrosiana ad accogliere i profughi è arrivato ieri, mercoledì 29 luglio, direttamente dal Cardinale Angelo Scola. Il presule nel corso della visita al centro di accoglienza Casa Suraya ha sottolineato che: «Bisogna pensare a un’accoglienza diffusa, fatta di piccoli gruppi, in ognuna delle 1107 parrocchie della Diocesi di Milano: i parroci parlino con i fedeli per superare le paure comprensibili ma che non portano da nessuna parte. Possiamo dare una grande prova di civiltà. È la soluzione giusta».

L’appello dell’arcivescovo di Milano arriva a pochi giorni da quello rivolto dai direttori delle Caritas delle dieci diocesi della Lombardia, ma certo l’invito del responsabile della diocesi più grande non solo della Regione, ma tra le più popolate del mondo, ha un suo peso.

Ma come dovrebbe funzionare questa accoglienza diffusa sotto i campanili lombardi? Lo abbiamo chiesto a don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana. «Al di là del fatto che esperienze simili erano state fatte negli anni passati. Si tratta di una prospettiva futura, suggerita anche dalle prefetture per favorire una distribuzione dei profughi in piccoli gruppi per avere un minor impatto e favorirne l’inserimento», illustra Davanzo.

Chi sono i profughi che pensate di poter inserire in questo modo?
Non certo le persone appena sbarcate, ma quelle che si capisce vogliono fermarsi, quelle che fanno domanda di asilo in Italia. I tanti eritrei o siriani che arrivano a Milano in modo autonomo e che il comune invia alle diverse strutture di accoglienza non hanno intenzione di fermarsi, puntando al nord Europa. Noi invece cerchiamo di favorire l’inserimento di chi vuole restare a vivere qui e in particolare delle famiglie con bambini e valuteremo anche l’effettiva capacità di autonomia…

Autonomia? In che senso?
Nel senso che un conto è essere inseriti in una struttura dove anche i pasti vengono distribuiti, un altro è vivere in un appartamento in cui la famiglia deve essere in grado di sbrigarsela in modo autonomo.

Alle parrocchie chiedete solo le strutture?
Principalmente chiediamo lo spazio, ma domandiamo anche un clima di amicizia che i membri della parrocchia possono offrire. Per quanto riguarda invece gli aspetti burocratici le questioni amministrative e l’accompagnamento sociale dei profughi quello resta in capo alla Caritas e soprattutto alle cooperative sociali con le quali collaboriamo già e che sono quelle con cui le prefetture si accordano. Non chiediamo certo al parroco di trovare un lavoro alla persona che ospita.

Non temete rivolte nelle parrocchie?
Un parroco saggio non imporrà questa decisione calandola dall’alto. Anzi, coinvolgerà il consiglio pastorale e i parrocchiani attivi. Abbiamo davanti tutto il mese di agosto per lavorare con gradualità per tranquillizzare e coinvolgere tutti nella decisione. E oltretutto non è per sempre.

Nel senso che si tratta di un’accoglienza a tempo?
Esatto. Noi chiediamo la disponibilità di un anno o almeno di alcuni mesi. Nel senso che non chiediamo alle parrocchie di rinunciare per sempre a uno spazio, ma di farlo per un certo periodo così da abbassare la pressione nei centri collettivi.

Come Caritas della Lombardia avete fatto la proposta un paio di settimane fa. Avete già avuto delle risposte?
Sì, qualche parrocchia ha già dato la sua disponibilità, ma le contiamo sulle dita di una mano. Ma ci aspettiamo delle risposte per il mese di settembre.

Con oltre mille parrocchie, potrebbero essere centinaia i nuclei familiari ospitati?
Forse, ma credo che a settembre potremo conoscere davvero la risposta dei parroci lombardi

A questo punto non resta che aspettare settembre per scoprire se l’appello del cardinale Scola verrà accolto dai parroci ambrosiani e dagli stessi fedeli.


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