Welfare & Lavoro

Se la CAI vede gli enti come nemici, va tutto in rovina

Melita Cavallo è presidente del Tribunale dei Minorenni di Roma e ha guidato la Commissione adozioni internazionali dal 2001 al 2004. Questo è il suo intervento nel corso di un incontro pubblico che si è tenuto in Senato l'8 luglio. Il clima attorno alle adozioni è molto acceso. Sul numero di Vita in edicola da domani un servizio spiega perché

di Carmela Cavallo

Melita Cavallo è la presidente del Tribunale dei Minorenni di Roma. Giudice minorile dal 1971, ha lavorato a Milano e Napoli. È stata presidente della Commissione adozioni internazionali dall’aprile 2001 al 31 dicembre 2004 e Capo del Dipartimento della giustizia minorile presso il Ministero della giustizia. Quella di seguito è la trascrizione del suo intervento nel corso dell’incontro “Adozioni internazionali: quale riforma?” convocato dal senatore Aldo Di Biagio (Area Popolare) e Rosetta Enza Blundo (Movimento 5 Stelle), tenutosi al Senato mercoledì 8 luglio 2015, un incontro che ha segnato l'apertura di un ennesimo dibattito dai toni molto accesi fra quanti si occupano, a diverso titolo, di adozioni internazionali. Sul numero di Vita in edicola da domani un servizio prova a fare il punto delle questioni aperte.

La crisi conta, ha inciso persino nella adozione nazionale, per la prima volta ci ha chiamato una famiglia dicendo “Non possiamo più adottare perché mio marito ha perso il lavoro”. L’eterologa non credo sia una causa per spiegare la crisi delle adozioni, perché chi si orienta su quella strada probabilmente non avrebbe adottato. Piuttosto vedo che i bambini che arrivano tramite l’adozione internazionale sono quasi tutti special needs, ma non dichiarati tali. Sono bambini che saranno in carico alla sanità per tutta la vita e molti genitori nulla sapevano al riguardo, tant'è che noi stiamo cercando di capire se un ente piuttosto che un altro ha portato in Italia questi bambini, perché io ho chiamato qualche ente e mi hanno detto “anche noi non sapevamo niente”. Gli enti dovrebbero essere molto più attenti su questo. Le coppie si parlano, si frequentano, sentire che è accaduto questo spaventa.

Per quanto riguarda situazione attuale, io all’inizio ho organizzato la CAI con la massima apertura e flessibilità verso enti, Paesi stranieri, istituzioni. Io noto – lo vedo dalle coppie che mi dicono “chiamo e non risponde nessuno”, “non so niente” – che c’è una chiusura verso l’esterno e una sfiducia totale nei confronti degli enti, tranne magari con qualcuno più accondiscendente. L’Italia però è rappresentata all’estero dagli enti, quindi gli enti rappresentano l’Italia e se il Paese straniero intuisce (perché poi le cose si sanno) che invece c’è la sfiducia totale verso gli enti, questo dice male dell’Italia e quindi i Paesi stranieri non guardano più a noi come un Paese sicuro in cui i loro bambini possono stare bene. Aver firmato un protocollo in cui i Carabinieri vengono coinvolti nei controlli, vuole dire che l’ente è visto con grande sfiducia. Il controllo è sempre necessario, ma viene se c’è un segnale. Se non c’è segnale, mettere noi l’ente in una situazione di controllo vuol dire farlo apparire all’estero come un soggetto su cui avere dei dubbi. Io credo che questo possa incidere.

Gli enti sicuramente sono tanti, il loro numero è lievitato. Mettere altri enti in un Paese significa dividere il numero dei bambini che quel Paese ha deciso di destinare all’adozione in Italia diviso più enti, per cui il peso economico [che la presenza all’estero comporta, ndr] per l’ente aumenta e magari il servizio diventa meno efficiente. Questa proliferazione di enti sullo stesso Paese la vedo negativamente: o c’è un meccanismo che aiuta gli enti ad assemblarsi e a rappresentare l’Italia in quel dato Paese, oppure è inutile. Bisogna esplorare altri canali, perché ci sono antri Paesi. Significa muoversi all’estero, invitare le autorità straniere, fare un’attività internazionale molto vivace e questo non mi pare che l’Italia lo faccia.

Da quando c’è la CAI c’è sempre stato almeno una volta l’anno un incontro con i giudici. È passato un anno e mezzo [dalla nomina della presidente Silvia Della Monica, ndr], non c’è stato. Io a questa Commissione ho telefonato, naturalmente nessuno ti richiama e va bene, però ho scritto due volte e non ho avuto nessuna risposta. Una coppia ha adottato con l’adozione nazionale dichiarando di aver rinunciato all’internazionale, invece non ha rinunciato e ha adottato […]. Io ho scritto alla CAI due fax, non ho avuto nessuna risposta. Questo non dice bene del funzionamento della Commissione. Ecco, la CAI è prima di tutto quella che tiene allacciata una rete, perché una rete sfilacciata non serve a niente. La rete ha le maglie ben strette fra loro, la funzione della CAI è quella di tenere strette le maglie, invece a me sembra che se c’era una rete, la rete è completamente smagliata.

Il fatto che la CAI si sia riunita solo una volta in un anno e mezzo è davvero sorprendente. Però una Commissione fatta di non ricorso con esattezza quanti rappresentanti – mi dicono 24, ma come si può gestirli? – è effettivamente qualcosa fuori della regola, perché non si può su ogni cosa sentire tutte queste persone. La CAI deve essere un organismo molto snello, se deve funzionare. Poi può esserci una consultazione ampia su temi particolari, ma per il funzionamento non si possono avere 24 persone da sentire. La CAI va ripensata, come vanno ripensate le linee guida, sono ancora quelle del 2005 eppure le cose sono tanto cambiate, bisogna lavorare alla riorganizzazione della CAI. Anche io ho messo sotto inchiesta due enti, c’è una verifica continua, però non è possibile considerare gli enti come i nemici della Cai. Se c’è questa impostazione, va tutto in rovina, come mi pare sia, da quello che sento.

Un altro elemento importante è il post adottivo, proprio perché entrano bambini grandi, difficili, è fondamentale il post adozione. Nella nuova stesura occorre dire che è obbligatoria la presa in carico della famiglia appena rientra dal Paese estero, perché altrimenti la famiglia andrà ai servizi troppo tardi, quando il problema sarà già esploso.

Foto di HECTOR RETAMAL/AFP/Getty Images


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