Cooperazione & Relazioni internazionali

Il dilemma dei migranti: fuggire o morire

Le drammatiche testimonianze di chi ha percorso le rotte migratorie dai Paesi sub-sahariani all'Europa raccolti in un rapporto dall'organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu)

di Redazione

Chi percorre le rotte migratorie tra i Paesi sub-sahariani e l'Europa non ha scelta: “fuggire o morire”. Un bivio drammatico che ha dato il titolo a un rapporto curato dall’organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu). Il lavoro è frutto dei primi sei mesi di attività del progetto “Stop alla tortura dei rifugiati lungo le rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso il Nord Africa”, co-finanziato dall'Unione Europea e da Open Society Foundations, che verrà ultimato nel mese di settembre e ha visto al centro le testimonianze dei migranti giunti in Italia e ospitati presso il Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Ragusa, il Centro di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) di Mineo e in alcuni “insediamenti informali” di Roma (edifici occupati, stazioni). Aree dove Medu opera a partire dal giugno e dal novembre 2014.

Ai gruppi di ricerca e ascolto dell'organizzazione – i cui risultati sono stati raccolti e tradotti dagli autori Alberto Barbieri, Giuseppe Cannella, Laura Deotti e Mariarita Peca – oltre 150 migranti hanno fornito testimonianze approfondite sulle rotte migratorie seguite, sul traffico di esseri umani incontrato e patito, sulle ragioni delle partenze (persecuzione politica, religiosa, coscrizione militare obbligatoria), sul tipo di violenze e torture subite e, infine, sulle conseguenze psicologiche del percorso effettuato. Tra le rotte descritte ne spiccano due: quella dell'Africa occidentale – che dal Niger porta alla Libia e quella dell'Africa orientale – dove il Sudan è il punto di passaggio, sempre verso la Libia.

La prima, e più battuta dagli intervistati di Medu, dura in media "22 mesi". «In media», si legge in Fuggire o morire, «i richiedenti asilo hanno trascorso 13 mesi in Libia», prima di partire dalle coste diretti in Italia attraverso il Mediterraneo. «La rete del traffico è una catena a maglie lente, in cui anche un singolo individuo può inserirsi e sfruttare i migranti vulnerabili, attraverso sequestri, lavoro forzato o estorsione di denaro».

Nel rapporto si legge anche che «tutti i 100 richiedenti asilo intervistati da Medu in Sicilia e tutti i 400 intervistati a Roma hanno riferito di essere stati vittime di qualche tipo di trattamento crudele, inumano o degradante soprattutto in Libia». C'è chi è stato rinchiuso, legato, bendato, carcerato o sequestrato. Chi ha subito aggressioni, violenze e percosse. Al 97% degli intervistati è stata sottratta acqua e cibo. Gli operatori di Medu si sono concentrati anche sul «legame tra i trattamenti inumani e degradanti, la tortura e il disagio mentale». Molti sono preda di disturbi d'ansia, episodi depressivi, disturbi da stress post traumatico o dell'umore e anche da incubi, insonnia.

Quella che il rapporto definisce come "ampiezza" e "pervasività" del traffico impone, per gli autori, di riconsiderare le etichette. «La tradizionale dicotomia tra rifugiati e migranti economici sembra essere più un concetto astratto che uno strumento in grado di comprendere adeguatamente una realtà complessa», si legge ancora nel rapporto Medu, i cui rappresentanti chiedono un'accoglienza basata su centri e strutture più ridotte, che favoriscano integrazione e la seppur minima considerazione della storia di vita di chi ci finisce dentro.


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