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Radicalizzazione nelle carceri: l’unica certezza è che non si sta facendo nulla

Il sistema carcerario italiano non fa nulla per contrastare la diffusione dell’ideologia estremista tra i detenuti arabi. E chiude anche le porte in faccia a chi ha delle proposte a costo zero. La denuncia dell’esperto di Islam e professore all’Università Cattolica Paolo Branca.

di Martino Pillitteri

Mentre il dibattito sui migranti e specialmente sui ‘richiedenti asilo’ continua a imperversare – come al solito – rimbalzando pareri più o meno estemporanei o bizzarri di leader europei o presunti tali e spesso a vantaggio delle opinioni pubbliche locali allarmate, ma male informate, una cappa di semi-totale paralisi distingue il Bel Paese su una questione cruciale praticamente ignorata da tutti. Vari report europei e non confermano ormai da anni che il luogo principale di ‘radicalizzazione’ dei musulmani sono le carceri: il riavvicinamento alla religione da parte di detenuti disperati e lasciati a se stessi con problemi di non poco conto (gli episodi di autolesionismo primeggiano tra gli arabi che affollano le nostre prigioni) è la via principale attraverso cui delinquenti comuni finiscono per diventare potenziali terroristi o candidati all’arruolamento nelle file dello Stato Islamico. «E il sistema carcerario» sostiene il professor Branca intervistato da Vita.it, «non fa nulla».

Prof. Branca, cosa si fa in Italia per gestire questo inquietante fenomeno?
E’ ormai quasi da una decina di anni che con varie case di detenzione di Milano e dintorni sto proponendo un percorso che consenta ai detenuti arabofoni, attraverso una lettura comune di testi della loro tradizione culturale, almeno il recupero di un senso di ‘dignità’ che possa aiutarli nel loro percorso riabilitativo.

Cos’è riuscito a realizzare finora?
Nulla. Pur essendo stato ricevuto da vari dirigenti, aver parlato con responsabili di associazioni abilitate ad agire nell’ambiente carcerario e aver avuto garanzie di finanziamento da Fondazioni del privato sociale, a un certo punto delle trattative tutto si blocca, non è più possibile reperire nessuno e si torna alla casella di partenza. A parole tutti disponibili ed entusiasti, nei fatti non succede nulla.

A cosa attribuisce queste difficoltà?
Non saprei dire con certezza. Tuttavia mi pare che l’ambiente sia piuttosto chiuso e retto da logiche interne poco chiare. Basti pensare che anche semplicemente portare in omaggio libri di letteratura araba già catalogati e garantiti alle biblioteche carcerarie è tutt’altro che semplice.

Allora è colpa della burocrazia?
No. La colpa principale è di chi non vuole lavorare. Quello che mi colpisce è che le mie iniziative sono a costo zero. Io mi occupo di recuperare il materiale da leggere, scelgo e porto ( a spese mie) con me dei giovani italo-arabi di seconda generazione islamici che possono facilmente entrare in sintonia con i detenuti facendoli respirare area di casa loro. Non è complicato farmi entrare in un carcere con dei libri e un paio di giovani. Eppure….

Chi si occupa di questi ospiti ‘particolari’ delle nostre prigioni?
Associazioni di stampo cattolico o laiche non mancano, ma sembra che la priorità sia legata a questioni di dipendenza dall’alcol o da stupefacenti, senza che altri fattori siano presi in seria considerazione. Persino i cappellani cattolici si limitano spesso ad allungare qualche euro per le sigarette o le carte telefoniche e nulla di più.

Le risulta che sia così in tutta Italia?
Veramente no. A Bologna negli scorsi mesi si è svolta una serie di incontri che partendo dalla costituzione italiana e da quelle dei paesi arabi ha dato occasione a vari detenuti musulmani di poter riflettere su tematiche importanti relative alla società civile. Ma se non sbaglio è una delle rare eccezioni.

Cosa possiamo dedurne?
Il tema della ‘sicurezza’ è assai sbandierato ma in realtà non risulta prioritario per nessuno. Uno dei tanti argomenti buoni a sporcare d’inchiostro i giornali e a infiammare arene televisive che lasciano il tempo che trovano.

Si arrende o continuerà a provarci?
Non mi arrenderò, anche perché non è una cosa utile a me, ma ad altri e a tutti.

Dati
Su un totale di 64.760 detenuti al 30 settembre 2013 (a fine anno si era scesi a circa 62.500 mila, ndr.), circa 23 mila erano gli stranieri e 13.500 gli originari di Paesi islamici. Fra i musulmani osservanti dietro le sbarre 102 hanno la cittadinanza italiana e nel 2013 sono stati segnalati 19 convertiti.
Spaccio di droga e furto i reati più diffusi, oltre a reati minori, come falsificazione di documenti o resistenza a pubblico ufficiale.


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