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Milano, boom di richieste all’Ufficio per l’accoglienza dei separati

È il primo ufficio al mondo dedicato ai fedeli separati. Aperto a Milano l'8 settembre, per avere un appuntamento bisogna aspettare cinque settimane tante sono le richieste. Il direttore, don Diego Pirovano, ne presenta lo stile e alla vigilia del Sinodo sulla Famiglia spiega perché i divorziati sono una urgenza pastorale per la Chiesa

di Sara De Carli

Niente “divorzio cattolico”. Se ci fosse stato bisogno di un chiarimento, Papa Francesco lo ha fatto sul volo che dagli Stati Uniti lo riportava in Italia, rispondendo ai giornalisti. Il «“divorzio cattolico” non esiste. O non è stato matrimonio – e questa è nullità, non è esistito –, o se è esistito è indissolubile». Il Motu proprio «facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio, perché il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa non lo può cambiare. È dottrina. È un sacramento indissolubile. Il procedimento legale è per provare che quello che sembrava sacramento non era stato un sacramento».

E poi i divorziati che ricominciano una nuova relazione, una nuova unione, una nuova famiglia, ha continuato il Papa: «A me sembra un po’ semplicistico dire che la soluzione per questa gente è che possano fare la comunione. Questa non è l’unica soluzione. No. Quello che l’Instrumentum laboris [il documento preparatorio dell’imminente Sinodo, ndr] propone è molto di più». Papa Francesco, di ritorno dall’Incontro Mondiale delle Famiglie di Fladelfia, era già tutto proteso al prossimo grande appuntamento che attende la Chiesa a partire da domenica 4 ottobre: il Sinodo sulla Famiglia. Pur non essendo l’unico tema sul tappeto, le nuove unioni dei divorziati saranno al centro delle riflessioni dei Padri Sinodali e soprattutto il primo tema a cui guarda con interesse l’opinione pubblica, credenti e non.

Che siano necessarie azioni pastorali nuove, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari è un dato di fatto, non fosse altro che per una questione di numeri. Tra gli strumenti più nuovi che la Chiesa ha messo a punto c’è l’Ufficio Diocesano Accoglienza Fedeli Separati, voluto a Milano dall’Arcivescovo Angelo Scola. L’ufficio, annunciato lo scorso maggio, ha aperto l’8 settembre, lo stesso giorno – casualmente – della pubblicazione del Motu Proprio del Papa sulla nullità dei matrimoni. A dirigere l’Ufficio è don Diego Pirovano, classe 1973, prete dal 2004, giudice del Tribunale Ecclesiastico regionale lomabardo, laureato in giurisprudenza, ha perfezionato gli studi in diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense e la Pontificia Università Gregoriana. L’abbiamo incontrato nel nuovo Ufficio, due settimane dopo l’apertura. Sono le 9,30 del mattino. Una donna sui quarant’anni sta aspettando con una cartellina piena di documenti in mano: ha un matrimonio nullo alle spalle e due bambini da un nuovo compagno, con cui si è già sposata civilmente, ma ora vorrebbero celebrare il matrimonio religioso: «È tutto a posto, ma il parroco mi ha mandato a fare un ultimo controllo», mi dice con un sorriso nervoso. In pochi minuti arrivano tre telefonate; la segretaria fissa gli appuntamenti per fine ottobre, fra cinque settimane.

Quante richieste avete?

Molte, per avere appena iniziato. Facciamo in media tre colloqui al giorno, per essere aperti da pochi giorni sono tanti, ovviamente cresceranno man mano che le persone sapranno di questa opportunità.

A chi si rivolge questo Ufficio?

Scopo dell’Ufficio è offrire un primo orientamento di carattere pastorale e canonico a tutti i fedeli cattolici che sono separati, di fatto o legalmente o che sono giunti alla scelta di separarsi sebbene non l’abbiano ancora attuata. Si può rivolgere al nostro ufficio la persona che ha subito la separazione – non mi piace usare la parola fallimento – ma anche chi ne ha avuto la responsabilità.

Gli strumenti non sono premiali – risarcire i buoni o punire i cattivi – ma per la verità. Per questo gli strumenti si mettono a disposizione di tutti: anche chi ha avuto la responsabilità della fine di un matrimonio può pentirsi, che non vuol dire riconciliarsi. Ciò che la Chiesa dice e dà a proposito di un matrimonio in crisi o finito non è un premio o una punizione, ma la verità delle cose.

Quali sono le finalità?

Lo scopo è aiutare i fedeli a una migliore comprensione della loro situazione sotto il profilo morale e canonico. La fatica di tanti fedeli separati rispetto alla Chiesa è quella di avere informazioni sbagliate e imprecise, una percezione non corretta della propria condizione, maturata partendo da una cosa saputa per sentito dire, un titolo di un giornale, messo insieme a un’impressione o un atteggiamento vissuti all’interno della propria comunità… tutto questo, unito alla reale sofferenza della separazione, a volte genera un equivoco. Intanto diamo un’informazione corretta, che giungendo da un Ufficio di Curia ha una forza di verità più convincente. Poi aiutiamo le persone a comprendere la loro posizione all’interno della Chiesa, spiegando le varie situazioni, che vanno sempre valutate caso per caso.

E qual è la posizione dei divorziati “all’interno” della Chiesa? Il problema non è proprio quello di sentirsi “esclusi” dalla Chiesa?

Le persone separate fanno parte della Chiesa, si spera che questo tutti lo sappiano e se non lo sanno noi siamo qui per ribadirlo, per accoglierli e per dire l’urgenza con cui la Chiesa li pensa. Non puoi “fare comunione”, come si dice sempre: se qualcuno ti spiega il perché, se capisci le motivazioni, non ti senti escluso. Magari ne soffri, come ne soffre anche il ministro dell’Eucarisitia – non ci si pensa mai, ma se c’è una persona che non può ricevere l’Eucaristia significa che c’è una persona che non può darla – ma non ti senti escluso. Bisogna essere accompagnati anche a dare il giusto valore alla vita sacramentale. Ma tutto questo può nascere solo all’interno di una accoglienza, che è il tratto originario e più ampio di questo ufficio, prima delle sue varie attività.

Cos’è accoglienza?

Accoglienza è un termine sufficientemente ampio ma non generico, ha una componente emotiva che dice la volontà di incontrare la realtà delle persone nella loro sofferenza. Questo è un “Ufficio per l’Accoglienza”: non è uno sportello o una commissione studi, non abbiamo attrezzato una squadra di accademici. È uno spazio fisico con persone con una sensibilità pastorale forte ed evidentissima – li miei collaboratori sono un parroco e una suora francescana – che hanno competenze specifiche ma anche un approccio aperto, cordiale. L’accoglienza è questione di ambienti, approcci, atteggiamenti: non mi sembra una cosa così scontata né facile da trovare oggi. L’Ufficio poi è decentrato, abbiamo aperto un ufficio a Lecco e uno Varese, per ora: non sono sedi distaccate, siamo sempre noi che andiamo lì, vicino a dove le persone vivono. E ancora, riceviamo per appuntamento, per ovvie ragioni organizzative, ma il lunedì siamo aperti a tutti senza appuntamento, con tutti i collaboratori compresenti: magari l’idea di dover telefonare blocca qualcuno, per la diffidenza o per la troppa sofferenza… Infine c’è la gratuità, perché la vicinanza passa anche dalla gratuità.

È un po’ la stessa logica che ha portato Papa Francesco ad auspicare la gratuità delle cause di nullità matrimoniale.

I costi non sono così alti come si pensa! Comunque mi dà l’occasione per chiarire un concetto a cui tengo molto. La finalità di questo Ufficio è più ampia, più originaria: non è solo aiutare le persone a capire se avviare o non avviare la strada della nullità. Sarebbe troppo poco. Accoglienza è vicinanza al fedele nelle tappe di un percorso, significa anche aiutare a capire come mai hai avuto una sentenza negativa dal Tribunale, che può essere una cosa che alimenta sfiducia e allora serve un accompagnamento per spiegarti come mai il tuo matrimonio è valido, per dirti che sei parte della Chiesa e per fartelo capire e sentire. La consulenza canonica verso la causa di nullità matrimoniale è la quarta attività prevista dall’Ufficio, bisogna fare lo sforzo di parlare anche degli altri tre passaggi.

Papa Francesco con il suo motu proprio ha giocato d’anticipo sui lavori del Sinodo: a questo punto possiamo aspettarci altre “rivoluzioni”?

Il Sinodo è un momento da accompagnare con la preghiera. Ciò che è desiderato deve essere filtrato dal desiderio di ispirazione. Se no stiamo a dividerci in partiti o a fare calcoli di posizionamento. La preghiera deve aprirci a questa logica ispirata, così che finché il Sinodo non accade nessuno può dire cosa produrrà.

Sul tema non perdetevi il numero di VITA in uscita venerdì 3 ottobre.

Foto by PETER KNEFFEL/AFP/Getty Images


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