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Economia & Impresa sociale 

Per la Banca Mondiale nel 2015 estrema povertà in calo. Sarò vero?

«La crescita economica riduce la povertà», è da sempre l'intramontabile e martellante motto degli esperti in statistica. Eppure rimane ancora aperta una questione fondamentale: la validità della metodologia di calcolo utilizzata dalla principale organizzazione internazionale

di Monica Straniero

Il numero di persone che vivono in condizioni di estrema povertà nel mondo potrebbe scendere al di sotto del 10 per cento della popolazione mondiale nel 2015. Nel 2012 erano 902 milioni, il 12,8% della popolazione, e secondo le stime scenderanno a 702 milioni nel 2015. È quanto previsto dalla banca Mondiale che per l’occasione ha rivalutatola soglia di povertà internazionale. Quest’anno per la prima volta meno di una persona su dieci vivrà con meno di 1,9 dollari al giorno, (non più 1,25), tenuto conto del reale potere d’acquisto dei singoli Paesi.

“La crescita economica riduce la povertà", è da sempre l'intramontabile e martellante motto degli esperti in statistica della Banca Mondiale. Per il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim, "Siamo la prima generazione nella storia dell’umanità che può porre fine alla povertà estrema. Una notizia che dovrebbe dare nuovo slancio a strategie più efficaci per porre fine alla povertà estrema. Una sfida estremamente difficile, soprattutto in un periodo di rallentamento della crescita globale, di instabilità finanziaria, mercati volatili, conflitti, alti tassi di disoccupazione giovanile, e cambiamento climatico. Ma siamo sulla strada giusta per raggiungere l'obiettivo di mettere fine all'estrema povertà entro il 2030”. Sempre secondo Kim la progressiva riduzione della povertà è stata in gran parte dovuta agli alti tassi di crescita nei paesi in via di sviluppo, che hanno permesso un più forte investimento in educazione, sanità e spesa sociale in genere.

Il rapporto dell’organizzazione internazionale, presentato a pochi giorni dal Vertice di Lima che per una settimana, fino al 12 ottobre, riunisce nella capitale peruviana i ministri delle Finanze e presidenti delle Banche centrali di 188 paesi, assieme a manager privati e accademici, si basa sui dati provenienti da paesi dove l’incidenza della povertà assoluta rimane ancora molto alta. In particolare negli ultimi decenni Asia Orientale e Pacifico, Asia meridionale e Africa sub-sahariana, hanno rappresentato circa il 95 per cento della povertà globale. Eppure, la composizione della povertà tra queste tre regioni è mutata drammaticamente. Nel 1990, l'Asia orientale rappresentava la metà dei poveri del mondo, mentre circa il 15 per cento viveva in Africa sub-sahariana.

A distanza di vent’anni la situazione si è invertita. L’area sub-sahariana oggi rappresenta la metà dei poveri del mondo. Sebbene la povertà sia in calo in tutte le regioni, appare più radicata nei paesi impegnati in conflitti o eccessivamente dipendenti dalle esportazioni di materie prime. Paradossalmente quei paesi come Kenya, Ghana, Tanzania ed Etiopia, celebrati come esempi del nuovo miracolo economico, hanno la crescita meno inclusiva di tutta l’Africa. Infine nessun dato recente è disponibile per Medio oriente e Nord Africa, dove i conflitti in corso e l’aumento della popolazione rendono difficile l’attuazione di politiche di contrasto alla povertà.

Per i sostenitori della globalizzazione il calo graduale del tasso di povertà estrema dimostra quindi che la globalizzazione è buona, libertà di commercio e liberalizzazione sono i prerequisiti per porre fine alla povertà, la sola risposta ai bisogni umani è un'economia mondiale basata sul mercato, così come delineata dal Washington Consensus.

Eppure rimane ancora aperta una questione fondamentale: la validità della metodologia di calcolo utilizzata dalla principale organizzazione internazionale per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà. Secondo vari analisti, le dichiarazioni di successo o fallimento dell'intera economia globale, non servono a nulla in presenza di un indicatore di povertà che si limita a considerare i consumi, potere d’acquisto, e il reddito minimo necessario per alloggiare, nutrirsi e coprirsi. Quando si è invece di fronte ad fenomeno multidimensionale, dipendente anche da altri aspetti quali la mancanza di istruzione di base e i bassi livelli di speranza di vita, per cui l’aumento del reddito dei più poveri del mondo non garantisce comunque il raggiungimento di altri obiettivi fondamentali per un minimo di benessere.

Altro punto intorno al quale si concentrano le critiche, è l’uso della soglia di povertà internazionale come strumento per monitorare e analizzare la povertà nei singoli paesi. Questo perché gli stati fanno affidamento a “proprie” linee di povertà, che hanno più risonanza e legittimità. Ad esempio in Italia la soglia della “povertà assoluta” è calcolata in base all’età propria e dei familiari, alla zona in cui si vive, alla grandezza della città.

Resta il fatto che finora la Banca Mondiale non ha messo a punto un sistema di misurazione definitivo e convincente. Peraltro il focus sulla "povertà assoluta" che l’istituzione calcola sulla media delle linee di povertà dei quindici Paesi più poveri, non è sufficiente per valutare i cambiamenti globali, causando incertezze su quanti poveri ci sono e dove effettivamente vivono.

Nessuno di questi problemi è facile da affrontare. E se per alcuni si tratta di fare calcolo statistici sulla base di tassi di cambio, per altri bisogna porsi domande fondamentali per realizzazione di una società giusta.


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