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Svetlana Aleksievic, Nobel figlio della cultura del racconto

La scrittrice e giornalista bielorussa un mese fa era al Festivaletteratura di Mantova. Lì ha parlato del suo Paese, della libertà e della scrittura, delle speranze tradite e dei giovani. «Raccontare il dolore fa parte integrante della tradizione russa» ha detto in un'intervista che vi abbiamo trascritto

di Redazione

Ha vinto il Nobel della letteratura per la «sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi». Lei è Svetlana Aleksievic, autrice bielorussa che nelle sue opere ha raccontato l’homo sovieticus e che meno di un mese fa è stata ospite del Festivaletteratura di Mantova.

In un’intervista, pubblicata sul canale Youtube del Festival mantovano la scrittrice e giornalista parla del rapporto tra il dolore e il racconto dei testimoni spiegando come «Da noi la gente vuole parlare, siamo abituati a sfogarci con i vicini oppure viaggiando in treno, in aereo. La nostra è una cultura del racconto perché vivendo in una vita così spaventosa, così terrificante tu vuoi raccontare a qualcuno e quindi raccontare il dolore fa parte integrante della cultura, della tradizione russa». Per Svetlana Aleksievic «La sofferenza ha sempre fatto parte della cultura, della religione russa. È sempre stata interpretata come un momento catartico di purificazione anche se mi sembra che tutta la nostra vita si svolga proprio in questo senso. Cioè soffrire e raccontare la sofferenza. E che non siamo mai riusciti ad avere una vita normale».

La scrittrice parla anche del suo essere giornalista sotto il regime di Lukashenko ricordando anche il caso di Anna Politkovskaja. «Per tutto l’arco della nostra storia i giornalisti e gli scrittori hanno visto e raccontato varie forme di fascismo, una società totalitaria, molto totalitaria, in parte totalitaria a seconda del momento, per cui abbiamo fatto l’abitudine» ha constatato. «L’unica cosa da fare è trovare una maniera per riuscire a far emergere la propria protesta anche se talvolta questo si paga con la vita come è stato il caso di Anna Politkovskaja o di Boris Nemtsov, ognuno sceglie la propria maniera di opporsi».

A una domanda sulla situazione attuale del suo paese la premio Nobel ricordando gli anni della perestroika con Gorbaciov ha detto che si sono conclusi con «una nostra sconfitta. Le speranze che nutrivamo all’epoca erano molto ingenue e la strada non può che essere lunga. Credo che dobbiamo metterci l’anima in pace e intraprendere un lungo lavoro e ognuno di noi dovrà fare ciò che è in grado di fare, svolgere la sua parte per questo obiettivo. L’apostolo Paolo da qualche parte dice: c’è un momento in cui tu ti metti a predicare e la gente proprio non ti ascolta, ma guai a te se smetti di predicare».

Per Svetlana Aleksievic la situazione che sta vivendo la Russia oggi «non è propriamente anarchia, è qualcosa di persino peggiore: perché ci sono grandi assembramenti di persone che credono in qualcosa di non ben definito e di fatto queste cose stanno portando il Paese in basso in una situazione peggiore addirittura dell’anarchia, credo che sia un inizio di fascismo», ha poi ricordato che «L’anarchia o qualcosa che ci assomiglia l’abbiamo vista forse negli anni novanta quando il Paese soffriva perché c’erano questi banditi che andavano in giro per strada e sparavano, commettevano dei soprusi, dei crimini. Quando hanno fatto uno spezzatino della Russia, smembrandola pezzo dopo pezzo. Ora invece tutto quanto è nelle mani di pochi criminali, del Kgb fondamentalmente, tutto è sotto il loro controllo, ormai non abbiamo più qualcosa che somiglia all’anarchia, abbiamo qualcosa di addirittura peggio».

Sui giovani e sul futuro però secondo la scrittrice c’è una speranza, soprattutto nelle nuove forme di volontariato che per lei sono anche una modalità di esprimere la propria opposizione.
«In questo periodo grazie al cielo vedo che ci sono anche delle forme di aggregazione di opposizione soprattutto da parte dei giovani, perché non ci si limita più a delle dimostrazioni o a mettersi insieme per dimostrare contro qualcosa, ci sono delle forme di volontariato, di aiuto volontariato per esempio ai profughi dell’Ucraina oppure le comunità o associazioni che si mettono insieme per aiutare i bambini che soffrono di cancro e ritengo che anche queste forme di volontariato siano una forma di opposizione che può acquisire varie forme perché tutto quello che avevamo prima come forme di aggregazione, i memoriali per esempio o le forme tradizionali, vengono considerate ormai qualcosa di pilotato da agenti stranieri quindi noi adesso abbiamo delle nuove forme di opposizione. E non è possibile metterli al silenzio ormai del tutto ormai sono troppo sviluppate», ha concluso l’autrice di Preghiera per Chernobyl, il suo libro più celebre.

In apertura l’immagine di Svetlana Aleksievic oggi alla notizia della sua vittoria del Nobel foto di MAXIM MALINOVSKY/AFP/Getty Images


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