Cooperazione & Relazioni internazionali

COP21: ultimo miglio per raggiungere i 100 miliardi di dollari di finanziamenti

A Lima la Comunità internazionale compie passi significativi sui finanziamenti per la lotta contro il cambiamento climatico. Ma gli investimenti rimangono troppo incentrati sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, e soprattutto risultano insufficienti per un cambio di rotta radicale.

di Joshua Massarenti

“Il problema dei finanziamenti è cruciale per il successo o meno di COP21 a Parigi. Oggi possiamo dire che siamo sul punto di raggiungere l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari (88 miliardi di euro)”. Dai toni assunti dal Manuel Pulgar-Vidal, ministro peruviano dell’Ambiente e presidente di COP20, a margine delle Assemblee annuali della Banca Mondiale e del FMI a Lima, in Perù, la strada per la conferenza ONU sul clima che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre sembra meno impervia del previsto. Quantomeno sul piano dei finanziamenti, uno scoglio noto per aver provocato il fallimento della Conferenza di Copenhagen nel 2009. Allora i paesi sviluppati avevano giurato di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi poveri a combattere il cambiamento climatico. Ma alle parole non erano mai seguite i fatti.

Oggi potrebbe aprirsi un nuovo capitolo su una delle sfide più importanti per la Comunità internazionale. A Lima, le banche di sviluppo hanno promesso fondi supplementari pari a 15 miliardi di euro all’anno da qui al 2020. In termini percentuali, significa che la Banca Mondiale si impegna ad erogare il 28% dei suoi finanziamenti complessivi a favore del clima, la Banca asiatico di sviluppo (ADB) il 30%, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD) e la Banca africana di sviluppo (AFDB) intendono raddoppiare gli sforzi passando dal 20% al 40% per entrambe, così come la Banca interamericana di sviluppo (IDB) (dal 14% al 28%). Infine anche la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha deciso di fare un gesto annunciando di voler riservare il 35% dei suoi finanziamenti al clima.

Questi 15 miliardi di dollari annui vanno a sommarsi ai 61,8 miliardi che i paesi sviluppati hanno erogato nel 2014, secondo e le stime dell’OCSE, le prime mai effettuate da un organismo internazionale dopo gli impegni presi nel 2009. Se si aggiungono i 10 miliardi di dollari del Green Climate Fund (Fondo Verde), il meccanismo finanziario creato durante i negoziati sul clima di Cancun del 2010 per promuovere azioni di adattamento e di abbattimento delle emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo, i contributi pubblici aggiuntivi annunciati da alcuni paesi sviluppati (tra cui Francia, Germania, Regno Unito) per un totale complessivo di cinque miliardi di dollari, e i loro effetti leva sul settore privato, “ebbene la promessa dei 100 miliardi di dollari è a portata di mano”, scrive Le Monde.

Ma non tutto è oro quello che lucica. La parte dei finanziamenti concessi alle azioni di lotta contro gli impatti del riscaldamento climatico (il cosiddetto “adattamento”) rimane inchiodata al 16% nel 2013-2014, mentre le politiche destinate a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (“l’attenuazione”) assorbono il 77% dei finanziamenti. Lo squilibrio non va giù ai paesi in via di sviluppo. In un’intervista concessa all’AFP, il neo-presidente della Banca africana di sviluppo, Akinwumi Adesina, ha denunciato questo squilibrio. “Oggi l’Africa contribuisce appena al 2% delle emessioni di gas a effetto serra nel mondo, ma il nostro continente è quello che soffre di più dell’impatto del cambiamento climatico”, ha dichiarato l’ex ministro nigeriano dell’Agricoltura, eletto nel 2013 personalità africano dell’anno dalla rivista Forbes. Secondo Adesina, ma maggior parte degli aiuti per ridurre i gas a effetto serra “tendono a beneficiare ai paesi asiatici come l’India e la Cina. L’Africa ha bisogno di fondi per l’adattamento, abbiamo centinaia di milioni di cittadini che non dispongono dei mezzi sufficienti per sfidare il cambiamento climatico. Detto questo, stiamo andando nella direzione giusta”.

L’altro grande ostacolo su cui la società civile sta esercitando pressioni sono i fondi stessi. ONG ed esperti ritengono che 100 miliardi di dollari non sono sufficienti per contrastare il riscaldamento globale. Allo stesso modo la pensa addirittura il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, nonché Presidente del Consiglio di stabilità finanziaria creato nel 2009 dal G20, che si sta mobilitando per convincere banche, assicurazioni e gestori di fondi di dare il proprio contributo per fermare quello che ha definito “una tragedia” annunciata.

Credito foto: Davide White (Oxfam)


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