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Emergenza profughi: un ossimoro milionario

Che siano terremoti, rifiuti, o persone che cercano protezione da guerre e persecuzioni, dove c’è un’emergenza in Italia c’è sempre chi ci si tuffa per arraffare quanti più soldi pubblici possibile. Ma una soluzione forse è possibile

di Marco Ehlardo

A Napoli siamo abituati da sempre al problema dell’emergenza come veicolo di malaffare.
Dopo il terremoto del 1980 si stima siano stati spesi circa 70 miliardi di euro, ed in alcuni paesi a tutt’oggi la ricostruzione, dopo 35 anni, non è ancora stata completata. Poi è arrivata l’emergenza rifiuti, con la note commistioni tra politica e camorra. E l’elenco sarebbe piuttosto lungo.

Ma non siamo certo (solo) noi i maestri del business delle emergenze. Basti ricordare il G8 alla Maddalena, anch’esso gestito con logiche emergenziali, con tutto quello che abbiamo scoperto in seguito. Ma che siano terremoti, rifiuti, o persone che cercano protezione da guerre e persecuzioni, dove c’è un’emergenza in Italia c’è sempre chi ci si tuffa per arraffare quanti più soldi pubblici possibile.

Premetto che, secondo me, “emergenza profughi” dovrebbe essere considerato un ossimoro. I numeri sono sicuramente molto elevati, ma con tutte le crisi in atto (Siria, Libia, Iraq, Afghanistan, Ucraina, senza tralasciare quelle storiche in Africa), che ci sarebbe stato un afflusso superiore al solito di richiedenti asilo lo poteva prevedere anche mia madre.

Se c’è allora una vera emergenza in Italia è proprio la gestione di questa emergenza. Fare un elenco solo degli ultimi casi sarebbe piuttosto lungo.

Solo in Campania e solo negli ultimi mesi siamo passati dalla onlus che intascava i pocket money destinati ai richiedenti asilo, a centri di accoglienza in cui i migranti vivevano e vivono tuttora in condizioni oltre il limite della decenza.

Per non parlare dell’accoglienza emergenziale negli alberghi; una media di 35 euro al giorno per richiedente asilo accolto, ma più che accoglienza dovrebbe chiamarsi albergaggio, con i migranti parcheggiati senza alcun tipo di assistenza. Un fenomeno più affine ai parcheggiatori abusivi che all’accoglienza.

Come provare ad uscirne?
La buona notizia è che si sta procedendo ad un ulteriore allargamento dello SPRAR; dagli attuali 20.000 posti a circa 30.000. Come, a chi e con quale efficacia del monitoraggio è una cosa che vedremo, ma è comunque una scelta che va nella direzione giusta.

La prima cattiva notizia è che, attualmente, oltre ai circa 20.000 “fortunati” accolti nello SPRAR, ce ne sono ancora circa il triplo accolti in strutture temporanee (dati del Rapporto sulla Protezione Internazionale 2015 in Italia).

La seconda cattiva notizia è che le Commissioni territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale, sia pur raddoppiate in numero, non hanno ancora smaltito nemmeno le domande di asilo del 2014, il che rallenta terribilmente le procedure sia di accoglienza che, soprattutto, di integrazione.

La terza cattiva notizia è che la gestione emergenziale dell’accoglienza continua ad essere strutturata come un cane che si morde la coda.

Sono le Prefetture ad individuare le strutture per l’accoglienza, a volte con affidamenti diretti di cui poco si può sapere dei criteri; in seguito sarebbero le stesse Prefetture a dover monitorare, se non l’efficacia dell’accoglienza (che diciamoci la verità interessa a pochi), almeno la correttezza della stessa.

È di tutta evidenza che così il sistema non funziona.

O, almeno, non funziona in Italia. In altri Paesi, scoperto uno scandalo in un progetto del genere, qualche testa in una Prefettura sarebbe saltata. Qui di scandali ne abbiamo a iosa e non mi risulta che si senta parlare di conseguenze per chi ha affidato l’accoglienza e non l’ha minimamente monitorata.

Per affrontare stabilmente il problema ritengo allora che possano esserci due soluzioni.
La prima riguarda la procedura per il riconoscimento della Protezione Internazionale. Che senso ha, ad esempio, intasare le Commissioni territoriali di richieste di asilo, ad esempio di eritrei o siriani, che vengono regolarmente (e giustamente) accolte? Si potrebbe prevedere, in tal caso, un’esame preliminare della domanda di asilo e concedere subito la protezione a chi ne ha evidentemente diritto. In tal modo le Commissioni potrebbero concentrarsi solo sulle altre domande (che non vanno certo respinte con lo stesso criterio immediato, tutt’altro), e lo SPRAR potrebbe tornare ad essere completamente un sistema di seconda accoglienza.

La seconda riguarda la rigidità dei numeri di accoglienza dello SPRAR, che per quanto aumentino restano comunque fissati. Perché, allora, non immaginare di affidare l’accoglienza ai Comuni senza indicarne i numeri? In tal modo un progetto potrebbe essere in grado di attivare nuovi posti quando necessario mantenendo, anche per questi, gli stessi standard di accoglienza (come succede in altri Paesi europei). E, cosa non secondaria, mantenendone gli stessi costi unitari, evitando di spendere regolarmente molto di più per le accoglienze emergenziali.

Mi sembra l’uovo di colombo. Ah già: e poi che fine farebbe l’emergenza?


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