Politica & Istituzioni

Dopo di noi: la legge di stabilità “snatura” il vero obiettivo

Con l'intervista a Roberto Speziale, presidente di Anffas, apriamo un dibattito sulla legge sul Dopo di Noi, che il premier ha promesso entro il 2016. Ecco le luci e le ombre della proposta di legge e del Fondo da 90 milioni che la legge di stabilità già va a finanziare

di Sara De Carli

"Ci tengo molto, quella del dopo di noi è una legge che nel 2016 andrà approvata": ha detto Matteo Renzi presentando la Legge di Stabilità. In essa ci sarebbero 100 – o più probabilmente 90 – milioni di euro per finanziare la legge sul Dopo di Noi (nel corso della conferenza stampa Renzi ha parlato di uno stanziamento di 100 milioni, il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi porta scritto invece 90 milioni). Avere un impegno così forte sulla volontà del Governo di portare a termine l’iter della legge è importante (in allegato il testo approvato dalla Commissione Affari sociali), ma passando ai contenuti, che analisi possiamo fare della proposta di legge che sta per arrivare alla Camera? Quali punti di forza e quali criticità presenta il testo attuale? Quali miglioramenti potrebbero essere apportati durante la discussione parlamentare? Ne parliamo con chi si occupa ogni giorno di disabilità grave. Cominciando con Roberto Speziale, presidente di Anffas.

Come ha accolto l’impegno del premier?

Che sia stato il Premier Renzi, nel presentare la Legge di Stabilità, ad indicare tra le misure maggiormente qualificanti la manovra stessa, l’istituzione di un Fondo per finanziare la legge sul “dopo di noi” rappresenta per noi certamente una notizia molto positiva. Questo significa che finalmente si dà attenzione e priorità alla domanda che molti genitori si pongono rispetto ai loro figli con disabilità: «chi si occuperà di loro quando noi non saremo più in grado di farlo o non ci saremo più?». Pertanto crediamo che, alla luce di tale dichiarazione, la legge sul “dopo di noi” – che noi vorremmo anche del “durante noi” – possa essere approvata ed emanata nel più breve tempo possibile, disponendo di una prima dotazione di risorse, che non sono certo sufficienti, per la costituzione del previsto Fondo.

Questo è ribadito, nell’art. 25 del progetto di legge 2111 annunciato in Senato il 25 ottobre (Legge di stabilità 2016) laddove si legge: “Si istituisce, presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, un Fondo destinato al finanziamento di misure per il sostegno delle persone con disabilità grave, in particolare stato di indigenza e prive di legami familiari di primo grado. Inoltre, le modalità di utilizzo del Fondo vengono definite con decreto di natura regolamentare sul quale va acquisita l’intesa della Conferenza Stato Regioni.” Nelle note che motivano gli importi speciali di cui alle Tabelle A e B, si legge in riferimento a tala comma 1 dell’articolo 25: “La disposizione istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze un Fondo destinato al finanziamento di misure per il sostegno di persone con disabilità grave, in particolare stato di indigenza e prive di legami familiari di primo grado, con una dotazione di 90 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016”.

Passando ai contenuti, che analisi possiamo fare della proposta di legge che sta per arrivare alla Camera? Quali punti di forza e quali criticità presenta il testo così come oggi è?

Consideriamo molto positivamente il fatto che il testo unificato (rispetto alle sei precedenti proposte di legge presentate alla Camera) prevede l’Istituzione di un Fondo che serva a finanziare interventi volti a creare percorsi di acquisizione di autonomie per una vita indipendente, anche, ma non solo, in previsione del venir meno del supporto familiare (il cosiddetto “durante noi”). Un altro punto di forza del testo unificato è il ritenere che gli interventi finanziati dal detto Fondo possano essere fruiti dalle persone con disabilità solo in base a quanto stabilito nel proprio progetto individuale ex art. 14 Legge n. 328/00, affinché gli interventi non siano di carattere estemporaneo e semmai non confluenti nel percorso di vita che quella persona sta facendo.

Come Anffas ci siamo battuti affinché potessero essere finanziati non solo interventi per strutture residenziali per il “dopo di noi”, ma soprattutto per attivare percorsi di de-istituzionalizzazione e per assicurare la permanenza delle persone con disabilità grave nel contesto ambientale vissuto, con l’intervento di adeguati supporti e sostegni, specie quando venisse meno un sostegno informale fondamentale quale è oggi quello della famiglia. Purtroppo, nel testo unificato questo è possibile solo se alcune famiglie si riuniscono per richiedere un finanziamento (per esempio, una famiglia mette a disposizione un villino di sua proprietà, dove, oltre a vivere il proprio figlio con disabilità, possa essere ospitata anche un'altra persona con disabilità che compartecipa alla gestione del villino e dei supporti) e non anche alle singole famiglie. Tale soluzione doveva essere maggiormente valorizzata, prevedendo magari deroghe a requisiti standard che alcune regioni potrebbero richiedere anche per finanziare interventi su soluzioni, che, invece, devono riprodurre il più possibile l’ambiente domestico familiare.

Un altro punto di criticità è quello di un’occasione colta a metà: la previsione di agevolazioni fiscali per polizze assicurative che siano esclusivamente finalizzate a sostenere progetti del “durante, dopo di noi” e non già ad accumulare risorse, che, poi, magari vadano a beneficio di tutt’altri destinatari o finalità.

Quali richieste di miglioramenti potrebbero essere avanzate durante la discussione parlamentare?

Anffas vorrebbe che la legge fosse pienamente coerente con quanto previsto dall’art. 19 della Convenzione Onu, che prescrive che occorre garantire a tutte le persone con disabilità il diritto di “scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere”.

A tal fine Anffas vorrebbe che si stabilisse già nella legge un sistema premiale (quindi maggiori risorse) per gli interventi di de-istituzionalizzazione, con programmi volti a portare fuori dagli “istituti” sempre più persone con disabilità.

Un problema preliminare, legato all’istituzione del Fondo, è capire come definire la platea dei beneficiari. Per il momento la legge si limita a parlare di “disabilità grave non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori” e demanda per ulteriori dettagli a un successivo decreto: secondo voi come andrebbe definita questa platea? Chi dovrebbe potervi accedere?

Anffas è favorevole alla definizione della platea dei destinatari così come prevista dal testo licenziato dalla Commissione Affari Sociali della Camera. Il rischio era che accedessero a un Fondo che ha per fine l’attivazione di percorsi di acquisizione di autonomie, persone ormai anziane che invece vedono il progressivo decadimento delle proprie facoltà, in maniera non connessa ad una congenita disabilità. Gli anziani non autosufficienti, comunque, accedono ai fondi per la non autosufficienza.

Il problema vero è che il Fondo Ministeriale previsto dalla proposta di Legge di Stabilità del Governo, diversamente da quanto prevede il testo unificato sul “Dopo di Noi” vede come destinatarie persone con disabilità grave privi di legami familiari di primo grado quindi, per ipotesi, ci potrebbero rientrare anche gli anziani non autosufficienti. Inoltre, il prevedere che gli interventi per il dopo di noi vadano a persone con disabilità che debbano essere anche indigenti snatura il fine della legge, che voleva promuovere anche quelle soluzioni familiari sopra descritte.

Di dopo di noi si parla da tempo, nel 2000 la Turco stanziò dei fondi per strutture dedicate – alcune strutture le stanno inaugurando anche in questi giorni, dopo 15 anni – ma nel frattempo la cultura è molto cambiata, c’è la Convenzione Onu, c’è il riconoscimento che le persone con disabilità hanno il diritto di decidere dove vogliono vivere e con chi vogliono vivere. Il dopo di noi quindi non è un problema di strutture ma di progetti che partano già “durante noi”. Molte associazioni contestano di questa legge l’eccessivo e anacronistico puntare sulle strutture. In effetti si parla di residenze, gruppi appartamento, strutture alloggiative di tipo familiare ma mai del diritto di rimanere a casa propria. Che ne pensa? È un problema?

È quanto ho detto prima. Occorre privilegiare il più possibile l’utilizzo di soluzioni in edifici e case di civile abitazione, specie quelle in cui la persona già viveva, magari ospitando altri amici, in numero limitatissimo, proponendo, al massimo livello possibile, il principio della vita autonoma ed indipendente a partire dal “durante noi”.

Allo stesso tempo occorre porre la massima attenzione a tutte quelle persone con disabilità con elevata necessità e intensità di sostegni, ai quali va garantita sempre e comunque la maggiore qualità di vita possibile, anche laddove necessitate a vivere fuori dal proprio contesto familiare e/o abitativo. Non tutti infatti hanno qualità di vita per il solo fatto di vivere al proprio domicilio, perché purtroppo a volte non vi sono i presupposti oggettivi. È il progetto di vita, quindi, che deve valutare per ciascuna persona quale sia la soluzione abitativa più idonea, non pensando che finanziare un assistente domiciliare possa rappresentare sempre e comunque la soluzione ideale. Spesso, paradossalmente, ciò finisce proprio con il determinare la mancanza di opportunità di partecipazione ed inclusione sociale di tante persone, semplicemente “recluse” in casa.

È una questione troppo seria per banalizzarla con slogan del tipo “tutti devono vivere a casa propria”: è del tutto evidente che vi sono persone con disabilità non sono in grado di seguire un percorso di acquisizione delle sufficienti autonomie tali da garantire una vita totalmente indipendente e famiglie in grado di supportare adeguatamente tali percorsi. Per noi occorre parlare sempre più di “vita interdipendente”.

Un’altra preoccupazione riguarda il trust, che inizialmente sembrava essere introdotto in maniera “vaga”, mentre ora le risorse dovranno essere vincolate a interventi e finalità proprie del dopo di noi. È sufficiente? Non è strano che in una legge che parla di dopo di noi l’articolo più lungo, dettagliato e immagino studiato sia proprio quello che introduce i trust?

Le nostre perplessità permangono tutte, anche perché il trust non trova una compiuta disciplina civilistica nel nostro ordinamento. Pertanto, lo stesso andrebbe considerato come una delle possibili forme di destinazione e protezione del patrimonio, ma sicuramente, allo stato, non la principale o esclusiva.

A tal fine, come Anffas abbiamo richiesto che perlomeno laddove si volesse inserirlo nella legge sul “dopo di noi”, le relative agevolazioni fiscali ci fossero solo per un trust “finalizzato” ad un percorso concreto del “dopo di noi”.

Alcuni soggetti reputano che più semplicemente la legge sul Dopo di Noi dovrebbe dare risorse alle famiglie, che potrebbero organizzare la vita a casa del figlio con disabilità in continuità con la sua vita di sempre. Costerebbe lo stesso, se non meno. Non è una buona proposta?

Lo dicevo sopra: Anffas ha proposto, ed in parte ottenuto, che gli interventi finanziabili siano anche volti a supportare le famiglie che, semmai, avendo una casa di abitazione (in cui il figlio vive da sempre) possano far strutturare il contesto di vita proprio lì, ma con i giusti sostegni e sempre nell’ottica del perseguimento di un progetto di vita. Dobbiamo evitare assolutamente che la persona con disabilità rimanga segregata in casa con una badante, con il paradossale rischio di ritrovarci in una situazione peggiore.

La legge oggi prevede l’istituzione di un Fondo da 56,9 milioni di euro per il 2016 più minori entrate di 45,7 milioni di euro per il 2016 per via dell’innalzamento della detraibilità delle spese assicurative. Fa 102, 6 milioni, la Legge di Stabilità parla invece di 90, partiamo male?

Intanto registriamo una differenza tra quanto annunciato in conferenza stampa dal Premier, che aveva parlato di 100 milioni, e i 90 milioni oggi previsti nella legge di stabilità. Sarebbe quindi paradossale che anche un solo euro dei 90 milioni previsti venisse poi meno per altri strani meccanismi. Anzi, l’auspicio è che il fondo venga incrementato con altre risorse da parte delle Regioni e degli Enti Locali e che venga stabilizzato, come sembrerebbe, per le annualità successive.


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