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Quegli incontri inattesi di Pasolini

Riemerge la testimonianza della visita a un eremita cieco mentre stava mettendo a punto il progetto del Vangelo secondo Matteo. Era Frate Ave Maria. Un incontro che folgorò PPP, tanto che ne lasciò un segno in una sua famosa poesia

di Anna Spena

La biografia di Pier Paolo Pasolini è densa come poche altre di relazioni e di relazioni anti schematiche e inaspettate. Oggi ad esempio riemergono i dettagli di un incontro avuto nel 1963, durante la preparazione di un film delicato e importantissimo: il Vangelo secondo Matteo. Nel percorso di maturazione dell’idea, Pasolini aveva cercato contatti con persone che secondo lui potevano aiutarlo ad immaginare e immedesimarsi meglio nel vissuto da restituire attraverso la pellicola. Non tanto biblisti ed esperti, ma testimoni e persone di grande spiritualità. Tra questi ci fu un eremita, Frate Ave Maria, che Pasolini incontrò a Sant’Alberto di Butrio, in provincia di Pavia. Un eremita cieco, morto 50 anni fa. Un incontro che oggi riemerge per bocca di Flavio Peloso, superiore generale dell’Opera Don Orione (frate Ave Maria era stato accolto da don Orione tra gli Eremiti della Divina Provvidenza).

«Era la primavera del 1963», racconta don Peloso, «e Pier Paolo Pasolini stava lavorando all’ ideazione de “Il vangelo secondo Matteo”. Egli era interessato a conoscere da persone ritenute “mistiche” e “sante” come pensassero a Gesù, come si immaginassero le scene del vangelo, come le avrebbero volute rappresentate. Angela Volpini – una giovane veggente di Casanova Staffora (Pavia) – gli parlò di Frate Ave Maria, già noto per fama di santità, che ella conosceva e frequentava dal 1958. Pier Paolo Pasolini decise di salire all’eremo sito nelle colline dell’Oltrepò pavese al quale si poteva giungere solo con una lunga camminata tra i monti irti e disabitati. In compagnia della Volpini Pasolini arrivò a Sant'Alberto di Butrio. Frate Ave Maria era in chiesa a pregare, e quando Pasolini si presentò, gli disse: “E come mai un grande artista, un personaggio così famoso, è interessato a conoscere un povero cieco, che sa solo dire "Gesù, Maria, vi amo: salvate le anime!"?”. Cominciò così il colloquio che si prolungò per un paio d’ore. Loro due soli». Uscito da quell’incontro Pasolini si rivelò stupito. «Frate Ave Maria aveva tutta l’attenzione per me», ricordò. «Parlava con tale naturalezza, pur nel suo linguaggio religioso, da risultare non solo rispettoso, ma affascinante. Non si è stupito del mio scetticismo e mi ha detto che il “suo Gesù” ama più i lontani che i vicini, che non si scandalizza di niente e che solo lui conosce davvero il cuore umano. Di fronte a lui, io artista, non mi sono sentito, come succede spesso nei luoghi seri ed importanti, un po’ fuori contesto… Anche il frate è un originale come me, un creativo… Ha inventato la sua vita, strana per il buon senso comune, ma vera e affascinante. Anche lui è un figlio d’arte, riesce a trasformare in bella e straordinaria una vita che, analizzata razionalmente, è la morte civile e la follia».

Saputa la notizia della morte di Pasolini, frate Avea Maria mandò ad Angela Volpini una copia del libro “Poesie in forma di rosa”, segnado la pagina in cui lo scrittore alludeva all’incontro con lui.

«E cerco alleanze che non hanno altra ragione

d’essere, come rivalsa, o contropartita,

che diversità, mitezza e impotente violenza:

Gli ebrei… i negri… ogni umanità bandita…

E questa fu la via per cui da uomo senza

umanità, da inconscio succube, o spia,

o torbido cacciatore di benevolenza,

ebbi tentazione di santità. Fu la poesia»

Tra gli incontri decisivi nella preparazione del Vangelo ci fu anche quello con don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate di Assisi, che per coincidenza sarebbe morto qualche giorno prima di Pasolini. A lui il poeta aveva scritto una lettera con questa confessione straordinaria:

«Sono bloccato, caro Don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti. E questo posso dirlo solo oggettivandomi e guardandomi da suo punto di vista. Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita, o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il corpo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio».


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