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Adottate un disabile grave per una settimana e solo dopo legiferate

Marietta Di Sario, invalida civile al 100%, ha scritto una lettera-denuncia sulla condizione delle persone con disabilità e ha chiesto ai politici di non considerarla più un numero ma una persona con un nome e un volto e come tutti quelli nella sua condizione portatrice di diritti che non devono essere ignorati

di Antonietta Nembri

Ha scritto proprio a tutti: a Papa Francesco e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso, al premier Renzi e alla ministro della Salute Lorenzin. Il mittente è Marietta Di Sario, una donna invalida civile al 100%, che in 3 pagine fitte fitte racconta la sua storia e le difficoltà incontrate nella vita per invitare lo stato a farsi carico dei problemi delle persone disabili. La sua proposta invito sembra una provocazione «provate a ospitare per una settimana un disabile gravissimo, con tutte le sue necessità di essere accompagnato in bagno, pulito, lavato e imboccato ventiquattro ore su ventiquattro, solo allora si avrebbe la giusta cognizione di cosa serve a un disabile grave. Vi invito a toccare con mano cosa sia la sofferenza, cosa significhi essere meno fortunati».

A rendere nota la lettera è l’Unitalsi (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali) l’associazione cui è associata la donna residente a Carpi che apre il suo scritto con queste parole: “Sono Marietta Di Sario. La mia storia inizia quando a soli quattro anni, l’età in cui i bambini dovrebbero correre e giocare, la poliomielite bussa alla mia porta. Pochi anni dopo, a undici anni, non cammino più e da allora la carrozzina diventa la mia compagna inseparabile di vita. Ora ho sessant’anni e sono invalida civile al 100% agli arti inferiori e superiori: i miei sono stati cinquantasei anni di sofferenze, del corpo e del cuore”.

Ma è giusto che il più grande aiuto arrivi da un’associazione di volontari, mentre ci si debba sentire abbandonati dallo Stato?

Marietta Di Sario

La lettera della signora Di Sario prosegue raccontando la sua situazione: «Da sola non riesco a compiere neppure il più banale gesto e per stare seduta sulla carrozzina devo portare un busto rigido che mi sostiene. Dipendo completamente, in tutto e per tutto, dagli altri. Anche solo per bere un bicchiere d’acqua, sfogliare un giornale, voltarmi nel letto, dipendo da altre persone. Le mani che ora scrivono sono in prestito e non sempre è facile trovare persone disponibili a sopperire a qualsiasi azione che a me non è permesso svolgere». Entra nei dettagli delle malattie e delle operazioni subite e aggiunge: «Il mio corpo è stato flagellato, ma nonostante tutto non ho mai smesso di amare la vita e affrontare con fede la sofferenza. Convivere con la sofferenza, accettarla e accoglierla per testimoniare il valore e la bellezza della vita, sono tappe di un cammino lungo e difficile, ma che con gioia percorro ogni giorno e che mi conduce ad amare anche il mio corpo provato e la mia vecchia carrozzina. In questo percorso di accettazione della mia condizione fisica, e di fede e amore verso la vita, sono stata aiutata dall’Unitalsi, un’associazione che offre un sostegno nelle necessità e un coinvolgimento per uscire dall’isolamento».

Marietta ricorda come l’associazione nota soprattutto per il suo servizio di accompagnamento di pellegrini e malati a Lourdes l’ha accolta sia a San Chirico Raparo, piccolo paese della Basilicata in cui è nata, sia a Carpi dove si è trasferita a casa della sorella. L’associazione per la donna è «è diventata una seconda famiglia, che mi ha dato la possibilità di uscire dalle mura domestiche per conoscere nuove persone, lasciare attimi di libertà e intimità a mia sorella e alla sua famiglia, e che mi è stata vicina nelle difficoltà e che ha alimentato il mio coraggio e la mia fede».

«Ma è giusto che il più grande aiuto arrivi da un’associazione di volontari, mentre ci si debba sentire abbandonati dallo Stato? Oggi, dopo tutti questi anni, mi trovo a riflettere su come sia più semplice per me accettare la mia malattia alla luce della fede piuttosto che rassegnarmi all’indifferenza di chi ci governa e a un immobilismo legislativo che ferisce e abbandona i cittadini meno fortunati e più soli. L’assenza di politiche serie e concrete per i disabili gravi mi ha costretta a lasciare un piccolo paese della Basilicata, San Chirico Raparo, a cui sono molto legata e dove sono vissuta per più di cinquanta anni con tante difficoltà» denuncia la signora Di Sario che dopo la morte della madre, sola è rimasta per un po’ a San Chirico, ma «le risorse economiche non erano sufficienti per vivere dignitosamente e le esperienze avute con le badanti sono state a dir poco disastrose». L’unica soluzione rimastale era quella di trasferirsi a Carpi, vicino Modena, dalla famiglia della sorella. Che per assisterla ha dovuto rinunciare al lavoro in fabbrica.

«Con questa lettera sono a chiedere di aprire gli occhi e il cuore sulla dolorosa e gravissima realtà dei disabili gravi e dei familiari che li assistono. Una sola persona non è sufficiente per assistere un disabile grave e i sostegni al reddito non bastano a garantire una vita dignitosa. Mia sorella mi assiste con amore e dedizione, ho accanto dei familiari con un cuore grande ma mi rendo conto che assistere un disabile grave richiede risorse economiche, sacrifici e rinuncia alla privacy, al proprio tempo libero e persino al lavoro. Non sarebbe giusto venire incontro a queste famiglie?» chiede. «Nel 2015 al Fondo per le non autosufficienze sono stati tagliati 75 milioni di euro: invece di aumentare il sostegno alla disabilità, si costringe a fare dell’assistenza un onere esclusivo della famiglia. La separazione tra il mondo delle Istituzioni e la vita sociale reale impedisce ai rappresentanti della “cosa pubblica” di conoscere le proporzioni realistiche dei costi determinati dall’esistenza di gravi disabilità». E per Marietta Di Sario c’è un’altra «conferma di questa enorme distanza tra politica e paese reale: è la notizia di questi mesi sul nuovo conteggio dell’Isee… Spesso i familiari sono costretti ad abbandonare il lavoro, per cui a chi si occupa del disabile dovrebbe essere riconosciuto uno status giuridico cui deve corrispondere un riconoscimento economico, perché oltre ad adempiere a un proprio dovere morale sostituisce lo Stato, laddove questi non assolve la funzione costituzionale di farsi carico dei disabili generando un risparmio economico notevole in termini di spese assistenziali e anche ospedaliere, determinato dal ricovero in famiglia e sotto l’assistenza di un congiunto. In quest’ottica, s’inserisce la proposta di prevedere la tredicesima sulle indennità di accompagnamento e il prepensionamento per i familiari che assistono disabili gravi e gravissimi. La legge sul prepensionamento è importante per i familiari dei disabili per restituire loro un po' di vita, anche perché nessuno sa seguire un disabile grave come un familiare stretto e quindi lo Stato deve permettere che questo sia possibile».

«Vi invito a considerare i disabili non come un numero, ma come singole persone: ognuna di esse con un volto, un nome, una storia di dolore alle spalle, un futuro di fede, in cui quelli che sono dei diritti non vengano ignorati» conclude con forza. «Io vi ho detto il mio nome, ho raccontato la mia storia. Ora per voi non sono più un numero, una tra le tante: sono Marietta e do voce alle persone che, come me, devono lottare per conquistare, giorno dopo giorno, una vita dignitosa». E proprio per questo «Le Istituzioni non possono eliminare la sofferenza e il dolore, ma senza dubbio devono tutelare i più deboli e cogliere quelle sfide importanti che, se non hanno risposte concrete e immediate, alimentano ogni giorno di più paura, disagio e disperazione».

In apertura foto Getty Images


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