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«Da Bagheria il segnale che la Sicilia vuole rialzare la testa»

Giusi Palermo, presidente regionale di Federsolidarietà, commenta la vicenda dei 36 imprenditori che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del "pizzo"

di Marina Moioli

«È una goccia che contribuisce a creare un mare di riscatto. Che il muro dell’omertà sia caduto proprio a Bagneria è davvero un segnale molto forte e molto bello perché lì la mafia è ancora molto radicata». Così Giusi Palermo, presidente di Federsolidarietà Sicilia, che riunisce le 588 cooperative sociali della regione, commenta la notizia del giorno: l’arresto di 22 persone che da anni colpivano ogni attività commerciale della zona di Bagheria.

I carabinieri del Comando Provinciale di Palermo hanno potuto incastrare capi e gregari del mandamento mafioso di Bagheria, accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, sequestro di persona e danneggiamento a seguito di incendio. Gli estortori colpivano a tappeto. Dall'edilizia a ogni attività economica locale che portasse guadagni: negozi di mobili e di abbigliamento, attività all'ingrosso di frutta e di pesce, bar, sale giochi, centri scommesse.

Grazie alla dettagliata ricostruzione fornita da 36 imprenditori che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del "pizzo" gli inquirenti hanno potuto tracciare la mappa del racket evidenziando la soffocante pressione estorsiva esercitata dai boss dal 2003 al 2013.

Il nuovo colpo inferto a Cosa Nostra cambierà le cose in Sicilia?
«Purtroppo il problema del pizzo è presente ed è ancora molto forte nei nostri territori, ma quello che è successo è il segno che la Sicilia si vuole rialzare, vuole rialzare la testa. È un chiaro segnale della voglia di togliersi quell’alone di omertà che avvolge la nostra regione. Un risultato che è arrivato grazie al connubio tra la forza di riscatto della gente e una presenza più forte dello Stato».

Il problema del pizzo riguarda anche le cooperative sociali?
«Sì, siamo in prima linea perché proviamo a far rivivere i beni confiscati alla mafia. Sappiamo bene cosa significa perché intorno a queste proprietà ruota tutto un mondo di interessi e spesso e volentieri incontriamo persone che tentano di metterci i bastoni tra le ruote. Vedere che qualcosa sta cambiando è incoraggiante per tutti».

Foto MARCELLO PATERNOSTRO/AFP/Getty Images


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