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Onu. Lo stato delle donne nel mondo

Il gap con gli uomini resta alto in molti settori. Ma le donne vivono più a lungo, godono di buona salute e sono più istruite. Tutti i numeri di The world’s women 2015, curato dalla divisione statistica del dipartimento per gli affari Economici e Sociali dell’Onu

di Mara Cinquepalmi

Sono così le donne del 2015 descritte nell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite. I numeri di The world’s women 2015, curato dalla divisione statistica del dipartimento per gli affari Economici e Sociali dell’Onu, raccontano l’universo femminile in otto temi: dal lavoro alla famiglia, dalla salute all’ambiente, dalla violenza al potere.

Il gap comincia dalla culla. Gli uomini superano le donne di circa 62 milioni, ma il vantaggio scompare progressivamente durante l'infanzia e l'età adulta tanto che le donne sono più numerose degli uomini nei gruppi di età più avanzata. Le donne, infatti, rappresentano il 54 per cento della popolazione over 60 ed il 62 per cento di quella di età over 80. Le donne sono anche più longeve, raggiungendo un’aspettativa di vita che arriva a 72 anni contro i 68 degli uomini, a livello globale. Differenze notevoli si riscontrano anche nelle modalità di vita delle donne e degli uomini anziani. Dopo i 60 anni è molto più probabile che le donne vivano da sole.

Sfogliando i dati di un altro degli otto focus, scopriamo che per quanto riguarda l'occupazione, solo il 50 per cento delle donne in età lavorativa è nella forza lavoro, rispetto al 77 per cento degli uomini. Il divario di genere nella partecipazione alla forza lavoro resta particolarmente elevato in Nord Africa, Asia occidentale e in Asia meridionale.

«Dai dati in generale sul lavoro e le donne emerge – spiegano Giovanna Badalassi e Federica Gentile di Ladynomics – che per fortuna qualche progresso è stato fatto dal 2015 sia per quanto riguarda la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia per quanto riguarda la condivisione delle responsabilità familiari. Tuttavia rimane ancora irrisolto il problema del lavoro domestico, ancora distribuito in modo troppo sbilanciato tra donne e uomini. Le donne sono ancora eccessivamente impegnate in questa attività che sottrae loro tempo per una crescita personale e professionale. Il lavoro in famiglia rimane ancora sottovalutato rispetto all'impatto che ha sul sistema economico in generale, sia rispetto alle donne che lo svolgono gratuitamente per i loro cari, sia per quelle che lo fanno di professione.».

Le buone notizie per fortuna ci sono: i congedi di maternità e paternità aumentano. In particolare, se nel 1994 solo il 27% dei paesi al mondo prevedeva i congedi di paternità, nel 2013 la percentuale è del 48%. Secondo Ladynomics «L’aumento dei congedi di paternità è molto importante, perché permette agli uomini di soddisfare il proprio desiderio di essere genitori più attivi, e non solo breadwinners, e perché può contribuire ad un cambiamento culturale che si spera possa indebolire l’automatica associazione tra donne e lavoro di cura».

Il dato sulla differenza salariale non deve meravigliarci visto che lo scorso 2 novembre la Commissione Ue ha celebrato l' Equal Pay Day. Da quel giorno le lavoratrici europee smettono di essere pagate, mentre i loro colleghi uomini continuano a ricevere stipendi fino al 31 dicembre. Secondo il gender gap quantificato a Bruxelles lo stipendio orario medio delle europee è il 16,3% più basso di quello degli europei, quindi le donne lavorano gratis 59 giorni all'anno.

Tornando, invece, al Wold’s Women 2015, le donne dedicano in media tre ore in più al giorno rispetto agli uomini in faccende domestiche e nella cura della famiglia nei paesi in via di sviluppo, due ore in più al giorno rispetto agli uomini nei paesi sviluppati.

La vulnerabilità economica delle donne è ancora più visibile tra le madri sole con figli. Le famiglie monoparentali sono sempre più diffuse, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. Madri sole con bambini costituiscono circa il 75 per cento di tutte le famiglie monoparentali e soffrono tassi di povertà più elevati rispetto ai padri single.

Il rapporto si occupa anche della rappresentanza di genere nelle posizioni di leadership. Il numero di donne tra i capi di Stato e di governo è ancora un'eccezione, anche se al momento ne sono 19, un lieve aumento rispetto alle 12 contate nel 1995.

Non va meglio nei parlamenti dove le donne sono soltanto il 22% e ancora peggio nei ministeri, guidati da un 18% di donne e spesso si tratta di dicasteri senza portafoglio o relativi a questioni sociali.

Le donne sono in gran parte escluse dai rami esecutivi di governo e raramente sono leader dei maggiori partiti politici. Non va meglio in altri settori, dove la rappresentanza femminile tra i manager aziendali, i legislatori e gli alti funzionari rimane bassa, con nessun paese che raggiunge o supera la parità e solo circa la metà dei paesi con il 30 per cento o più.

Con The World’s Women l’Onu ha voluto denunciare un gap di genere nelle statistiche ufficiali. È necessario, quindi, sviluppare nuovi standard e metodi statistici. Un primo passo verso la standardizzazione dei metodi e l’armonizzazione degli indicatori è stato fatto nel 2013 con l’accordo della Commissione statistica delle Nazioni Unite per utilizzare un set minimo di indicatori di genere, composto da 52 indicatori quantitativi e 11 qualitativi. Secondo le Nazioni Unite, metodi e statistiche di genere sono ancora in ritardo in molte aree tematiche, come la leadership, la povertà, la qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento permanente; il divario retributivo di genere. Molti paesi sono lontani dal produrre accurate statistiche di genere, così come nelle statistiche ufficiali occorre investire nella dimensione di genere.


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