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Sostenibilità sociale e ambientale

A Genova il più grande orto collettivo d’Europa

Su una collina di Campi trecento “contadini urbani” stanno realizzando un esperimento unico di ambientalismo e socialità su un terreno di 7 ettari. Gli aspiranti agricoltori lo coltivano tutti insieme suddividendo i prodotti e utilizzando soldi virtuali (Scec) come moneta di scambio: un’esperienza di condivisione e baratto alternativo che oggi viene presentata a Montecitorio

di Marina Moioli

Solo pochi mesi fa era solo un immenso bosco di acacie e piante infestanti che occupava un’intera collina a Campi in Valpolcevera, vicino a Genova. Ma grazie al progetto dell’Associazione Comitato Quattro Valli diventerà il più grande orto collettivo d’Europa con ben 7 ettari di terra indivisa da coltivare. Trecento aspiranti agricoltori (ma le richieste di partecipazione sono state 700) penseranno a coltivarlo tutti insieme suddividendo i prodotti ed usando una moneta cartacea alternativa, stile “Monopoli”, che si chiama “Scec”.

Si tratta di un orto “estremo” per la sua verticalità, alla base di un bosco fitto e inselvatichito che gli agricoltori urbani hanno avuto in comodato d’uso da una società della famiglia Lavazza, dove hanno realizzato dei tipici terrazzamenti, bancali in cui si può seminare senza chinarsi. «Diventerà l’orto collettivo più grande d’Europa», spiega il presidente dell’Associazione Comitato Quattro valli, Andrea Pescino, 69 anni, ideatore del progetto. «Il meccanismo è semplice, continua. «Non si tratta di un grande terreno che sarà diviso in piccoli appezzamenti, come accade con gli orti urbani in molti municipi. Qui la terra è unica, si lavora fianco a fianco. Bastano sei ore di lavoro settimanale per portare a casa frutta e verdura per una famiglia di quattro persone. Ma l’orto collettivo rispetto ai piccoli orti personali ha una differenza sostanziale: è un lavoro d’équipe, se manca qualcuno arriva un altro a svolgere lo stesso compito. E per gestirlo si programma un calendario settimanale, dalla semina alla legatura dei pomodori che viene inviata via mail a tutti i partecipanti: i primi che arrivano sanno cosa devono fare e chi viene dopo controlla il lavoro fatto».

Nei primi mesi si sono messe all’opera una sessantina di persone, tra cui agricoltori, allevatori, un medico e un’insegnante, totalizzando 3.200 ore di lavoro. Tutti gli altri partecipanti entreranno in gioco quando si raggiungerà un’area meno ripida, a monte. «Quando l’orto collettivo entrerà totalmente in produzione», spiegano gli ideatori, «sarà gestito col principio del baratto: tante ore di lavoro, tanta verdura. Gli scambi vengono regolati attraverso la moneta alternativa “Scec”, soldi colorati simili a quelli del Monopoli, con vari tagli. Ogni ora di lavoro vale 7,5 “Scec” e ogni giorno ognuno preleva gli Scec in base a quanto ha lavorato. Le banconote possono essere usate in un circuito che a Genova comprende 125 negozi, ma i contadini possono usarli per pagare direttamente la verdura a cui viene attribuito un valore: ad esempio un chilo di finocchi per uno Scec».

L’esperienza di condivisione e baratto alternativo è stata illustrata oggi in un convegno nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, grazie all’invito di parlamentari di varie forze politiche, con la partecipazione di realtà all’avanguardia nella nuova economia tra cui Arcipelago Scec e Associazione dei Comuni Virtuosi.

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