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Anche per la Commissione europea gli immigrati fanno aumentare il Pil

Per la prima volta la Commissione europea conduce una ricerca per valutare l’impatto dell’immigrazione sui conti pubblici europei. Ecco cosa emerge

di Monica Straniero

Il numero di sfollati in fuga da guerra e persecuzioni hanno raggiunto quasi quota 60 milioni nel 2014, stando ai dati dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. A livello globale la Siria è il paese da cui ha origine il maggior numero sia di sfollati interni (7,6 milioni) che di rifugiati (3.880.000 alla fine del 2014). L’Afghanistan (2.590.000) e la Somalia (1,1 milioni) si classificano al secondo e al terzo posto. Ma per la Commissione Europea si prevede l’arrivo di altri tre milioni di migranti, con un aumento, al netto dei possibili rimpatri, dello 0,4% della popolazione europea. “Un numero senza precedenti", ha commentato il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, “che senza alcun dubbio avrà un impatto economico”.

Per la prima volta la Commissione europea conduce una ricerca per valutare l’impatto dell’immigrazione sui conti pubblici europei. Nel rapporto sulle stime economiche d’autunno, presentato il 5 novembre, l’esecutivo riconosce che “l’enorme afflusso di rifugiati e richiedenti asilo che ha investito il Vecchio Continente ha messo a dura prova i vari paesi coinvolti”.

In sintesi, secondo le stime della Commissione, se per il 2015 la spesa pubblica in termini di costi per le operazioni di salvataggio, registrazione, assistenza sanitaria e accoglienza, può arrivare fino allo 0,2% del Pil, è nel medio e lungo termine che i nuovi arrivi avranno un effetto positivo sui conti pubblici. Soprattutto nei paesi di destinazione dove la popolazione sta gradualmente invecchiando e la forza lavoro diminuisce. La ricerca suggerisce altresì che gli “immigrati integrati” pagano allo Stato in termini di imposte e contributi più di quanto ricevano in benefici.

Bruxelles coglie l’occasione anche per smentire il luogo comune secondo il quale i profughi sottraggono lavoro agli autoctoni. “Seppure esperienze passate hanno dimostrato che l'impatto sui salari e sull’occupazione può essere negativo per alcuni gruppi di lavoratori del paese di accoglienza, in particolare tra le persone poco qualificate, in generale l'immigrazione non produce effetti significativi sui tassi di disoccupazione dei cittadini originari”, ha detto la Commissione.

Ad influenzare l’impatto economico dell’immigrazione, si legge nello studio, concorrono anche altri fattori tra cui la diversa struttura economica dei paesi di accoglienza, la legislazione del mercato del lavoro del paese di accoglienza e le caratteristiche dei rifugiati, ad esempio in che misura completano o sostituiscono la forza lavoro autoctona. “Molto dipenderà dalla capacità di integrazione nel mercato del lavoro, considerando che circa 3 quarti dei richiedenti asilo sono in età lavorativa”, aggiunge Moscovici.

Ma com’è arrivata Bruxelles a queste previsioni? “Seppure le informazioni sono scarse e i rifugiati sono più disponibili ad accettare anche lavori al di sotto del loro livello di qualificazione, abbiamo ipotizzato due scenari”, si legge nella ricerca. Nel primo, i nuovi arrivi con un livello di istruzione e competenze pari a quelle dei lavoratori autoctoni, potranno contribuire a un aumento del Pil fino allo 0,2% quest’anno e dello 0,4% nel 2016 per arrivare ad un +0,7% entro il 2020. Mentre se il numero di stranieri istruiti e qualificati dovesse essere inferiore, l’aumento del Pil europeo sarà appena dello 0,17% tra il 2016 e il 2010.

Ma la prudenza non mai troppa. “I risultati della ricerca vanno comunque presi con cautela alla luce della situazione attuale e in considerazione del fatto che i rifugiati rappresentano un gruppo eterogeneo”, tiene a precisare la Commissione. “Vi è una peraltro notevole incertezza anche sulle stime degli arrivi e sui modelli di integrazione, che differiscono da paese a paese”

Almeno una cosa è certa: l’impatto economico dell’immigrazione “non è negativo”.


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