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Francesco: «Gesù è il nostro umanesimo»

Il Pontefice in occasione del quinto Convegno della Chiesa italiana tenutosi a Santa Maria del Fiore a Firenze si è rivolto alla Chiesa italiana indicando l’umanesimo cristiano come via maestra. Citando Dante, Michelangelo, San Francesco, San Neri e Guareschi con il suo Don Camillo perché «se perdiamo vicinanza alla gente e preghiera perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte»

di Lorenzo Maria Alvaro

«Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà».

Così il Papa ha concluso il suo intervento in occasione del quinto Convegno della Chiesa italiana tenutosi a Santa Maria del Fiore a Firenze. «L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita molto dura», ha continuato Francesco che ci tiene a sottolineare: «non tocca a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni»

Per il Papa c’è una sola certezza «siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese».

E proprio questa straordinarietà per il Papa si chiama “umanesimo cristiano”, perché «possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità».

Francesco ci tiene a chiarire che «non voglio qui disegnare in astratto un “nuovo umanesimo”, una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano».

«Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio», ha chiarito il Papa. «E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione».

«L’ho detto più volte e lo ripeto ancora oggi a voi», continua il Pontefice citando la Evangelii gaudium: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti».

Il Papa poi passa ad ammonire da due tantazioni: quella pelagiana, dell’eccessiva fiducia nell’organizzazione e quella gnostica che confida troppo nel ragionamento lucido e chiaro. Entrambe allontanano dall’uomo e da Gesù, entrambe allontanano dall’umanesimo.

Per indicare la via il Papa usa San Francesco, San Neri ma anche a sorpresa il Don Camillo di Giovannino Guareschi: «Pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».

In allegato il testo integrale dell'intervento del Pontefice


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