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Cooperazione & Relazioni internazionali

Fare i conti con il terrorismo

Discutere dell’impatto del terrorismo sull’economia e sui mercati finanziari, ha complessivamente un effetto mortificante. Tuttavia c’è un dato che non può essere ignorato, e cioè che oltre alla distruzione fisica, alla perdita di vite umane e alla creazione di un clima di sfiducia, i terroristi mirano a causare danni permanenti nelle economie che colpiscono.

di Monica Straniero

Lo studioso di politica internazionale, J.D. Kiras, autore di “Terrorismo e Globalizzazione”, ha individuato quattro fattori alla base della nascita del terrorismo come diretta conseguenza della globalizzazione: la crescita del trasporto aereo commerciale, l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, la deregolamentazione dei mercati finanziari e gli sviluppi di ampi interessi politici e ideologici tra gli estremisti.

Eppure gli effetti economici del terrorismo rimangono di difficile misurazione soprattutto da quando la portata del fenomeno è diventato transnazionale con ricadute sistemiche che coinvolgono intere aree. Il premio Nobel Paul Krugman, che in The Economy of Fear riscontra una forte similitudine tra i costi connessi alla criminalità e quelli legati al terrorismo, fa osservare che esplorare le conseguenze economiche del terrorismo significa anche tentare di misurare il costo che gli individui intendono sostenere per controllare la paura, nella misura in cui impone un cambiamento nella routine e nello stile di vita. Secondo l’economista americano, il fattore paura si presenta come una variabile complessa e estremamente soggettiva, ma molto dipende anche dal grado di familiarità con il paese a rischio attentati. In un articolo del 16 novembre, a due giorni dalla strage di Parigi, in un articolo L’Economist fa giustamente notare che gli europei continuano ad andare in vacanza negli Stati Uniti anche se le armi americane uccidono molte più persone degli attacchi terroristici.

Discorso diverso per i mercati finanziari. Le esperienze passate ci dicono che una volta superato lo shock iniziale, i mercati riescono a digerire molte velocemente le informazioni e a recuperare così le perdite eventualmente accumulate nelle ore successive alla tragedia. Ma cosa accadrebbe se l’Europa dovesse entrare nella lista nera delle aree a rischio terrorismo? Nessuno sa dirlo. Ma una cosa è certa. All’inizio di questa settimana i titoli delle società produttrici di armi e sistemi di difesa hanno registrato un’impennata sufficiente ad evitare il tracollo delle Borse mondiali, e in particolare di quelle europee.

In generale ciò che molti studi in materia cercano di quantificare sono le ripercussioni indirette e a lungo termine degli attacchi terroristici. L’impatto più rilevante coinvolge il settore militare e quello della sicurezza. In particolare il rafforzamento delle misure di sicurezza non solo sottrae risorse a welfare e a settori più produttivi, ma incide negativamente sul movimento di merci e persone. All’indomani dell’attentato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, il governo francese ha comunicato la sua intenzione di ridimensionare gli scambi commerciali con quei paesi che simpatizzano culturalmente, geograficamente o religiosamente con le organizzazioni terroristiche ritenute responsabili della strage. La storia si ripete a distanza di un anno. Dopo gli attacchi di Parigi, il presidente della Repubblica Francese Hollande ha annunciato che chiuderà le frontiere come misura di sicurezza e di contrasto all’attacco terroristico.

Infine a rendere più complicato l’analisi contribuiscono le cosiddette “iniziative di ricostruzione”, con ricadute positive sulla produttività e sul processo di accumulazione dei capitali nei paesi coinvolti. Che in qualche modo tendono a compensare gli effetti a lungo termine sui settori tradizionalmente colpiti dagli attentati come ad esempio il turismo, ormai diventato in Europa un settore chiave della sua economia, e il trasporto aereo.

Se poi si vuole parlare dell’economia del terrorismo, che muove un giro d’affari di miliardi, di quali sono le fonti di finanziamento dei gruppi terroristici, e sul possibile connubio tra Isis e guerra del petrolio, il quadro si fa ancora più inquietante.


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