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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il catechismo africano di Francesco

Il Pontefice è appena arrivato in Africa, a Nairobi in Kenya, ma contro ogni previsione ha già preso di petto le due questioni con cui tutto il mondo sta facendo i conti in queste settimane: il terrorismo e la povertà. «So che è vivo in voi il ricordo lasciato dai barbari attacchi al Westgate Mall, al Garissa University College e a Mandera. Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione»

di Lorenzo Maria Alvaro

Papa Francesco è arrivato in Africa da poco più di 24 ore ma, a sorpresa, ha già affrontato due dei temi più sentiti nel continente afrciano come nel resto del mondo: il terrorismo religioso e la povertà.

Il primo appuntamento è stato l'Incontro Ecumenico e interreligioso presso il Salone della Nunziatura Apostolica a Nairobi, alla presenza, in particolare di Mons. Kairo, Arcivescovo Wabukala e del professor El-Busaidy. «Quando vengo a visitare i cattolici di una Chiesa locale, è sempre importante per me avere l’occasione d’incontrare i leader di altre comunità cristiane e di altre tradizioni religiose. È mia speranza che questo tempo trascorso insieme possa essere un segno della stima della Chiesa nei confronti dei seguaci di tutte le religioni e rafforzi i legami d’amicizia che già intercorrono tra noi», ha esordito Francesco. Che come ormai ha abituato non fa giri di parole e va dritto al cuore delle quesitoni.

Per Francesco «il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso. Non è qualcosa di aggiuntivo o di opzionale, ma è essenziale, è qualcosa di cui il nostro mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno», perché, «le religioni interpretano un ruolo essenziale nel formare le coscienze, nell’instillare nei giovani i profondi valori spirituali delle rispettive tradizioni e nel preparare buoni cittadini, capaci di infondere nella società civile onestà, integrità e una visione del mondo che valorizzi la persona umana rispetto al potere e al guadagno materiale».

Poi il Papa si riferisce direttamente all'uso di Dio per giustificare il male e dice: «il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza. So che è vivo in voi il ricordo lasciato dai barbari attacchi al Westgate Mall, al Garissa University College e a Mandera. Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione per seminare discordia e paura e per lacerare il tessuto stesso delle nostre società. Quant’è importante che siamo riconosciuti come profeti di pace, operatori di pace che invitano gli altri a vivere in pace, armonia e rispetto reciproco! Possa l’Onnipotente toccare i cuori di coloro che perpetrano questa violenza e concedere la sua pace alle nostre famiglie e alle nostre comunità».

Il secondo appuntamento invece è stata la Santa Messa al Campus dell'Università di Nairobi dove, con l'omelia, il Papa è tornato a parlare di uguaglianza, povertà e famiglia.

«Siamo anche chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati. Siamo chiamati a rispettarci e incoraggiarci a vicenda e a raggiungere tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le famiglie cristiane hanno questa missione speciale: irradiare l’amore di Dio e riversare l’acqua vivificante del suo Spirito. Questo è particolarmente importante oggi, perché assistiamo all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura dell’egoismo e dell’indifferenza verso gli altri», ha esordito Francesco.

Rivolgendosi poi agli studenti dell'università si è appellato: «I grandi valori della tradizione africana, la saggezza e la verità della Parola di Dio e il generoso idealismo della vostra giovinezza vi guidino nell’impegno di formare una società che sia sempre più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana. Vi stiano sempre a cuore le necessità dei poveri; rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio».


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