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L’artista degli scarti che piace al papa

Alejandro Marmo è un artista argentino che lavora solo con i materiali di scarto. Per i Giardini Vaticani ha realizzato due opere, tra le preferite del papa, costruite con il ferro raccolto a Città del Vaticano. «L'arte è il mio modo di abitare il mondo», racconta

di Anna Spena

Quando lo chiamano “l’amico del papa”, si arrabbia. «Papa Francesco non è mio amico. È il mio pastore, la mia guida, mio padre. Chi è così pieno di superbia da definirlo amico?». A dirlo è Alejandro Marmo, artista argentino che per i giardini vaticani ha realizzato due opere costruite con materiali di scarto “La vergine di Lujàn” e “il Cristo operaio”. Eppure il papa l’ha ricordato nel suo libro “La mia idea di Arte”, edito da Mondadori in collaborazione con Musei Vaticani, a cura di Tiziana Lupi, da domani nelle librerie.

«La prima volta che ho conosciuto Alejandro Marmo», si legge nell’anteprima del testo pubblicata su Avvenire, «ho sentito subito che era un poeta, e per questo ho voluto aiutarlo. E anch’io ho imparato da lui. Le sue opere sono la testimonianza della creatività di cui siamo capaci anche con una materia prima povera, messa da parte, buttata via. Sono il simbolo della genialità che Dio ha desiderato mettere nelle mente di un artista come lui».

Alejandro non è una superstar. Lavora solo con i materiali di scarto, raccolti qua e là nelle periferie, proprio lui che, uno scarto, si è sentito per tanti anni. È nato nel 1971 in una periferia di Buenos Aires da genitori immigrati. Il papà italiano, nato a San Rufo, piccolo comune in provincia di Salerno e la mamma greca. «Il mio papà», racconta Alejandro, «si è trasferito qua dopo la seconda guerra mondiale, lavorava nella sua officina, però è morto quando avevo undici anni».

Non ha mai studiato per diventare artista, in Argentina ha frequentato un istituto tecnico. «Mi ricordo che da piccolo, già a 5 anni, giocavo con i materiali di scarto dell’officina di mio padre. Mi piaceva l’idea di trasformarli. Poi l’arte è diventata una religione, un modo di abitare questo mondo. Avevo una mancanza dentro».

Alejandro voleva evadere dal mondo delle periferie; mondo che credeva infelice, nostalgico, mondo che concretizzava «l’impossibilità di uscire fuori», spiega.
Poi però, è in quel mondo che ha scoperto la bellezza vera delle cose, la poesia che sono gli altri. Le periferie dei “cuori freddi” come li chiama lui, devono essere riscattate, perciò lavora solo con i materiali di scarto, raccolti nelle periferie che, agli occhi dei più, pure sono uno scarto. «Gli devi dare speranza, gli devi dare un motivo per vivere, in una società violenta gli scarti diventano bellezza», spiega.

Il papa lo seguiva già dal 2001, quando era arcivescovo a Buenos Aires, poi nel 2008 l’ha incontrato per realizzare insieme a lui un lavoro nel cuore della città. «Volevamo fare un progetto sociale», spiega Alejandro, «l’arte è l’evangelizzazione delle speranza. Così abbiamo realizzato “Mural di vita”, un’opera di 31 metri di lunghezza per 24 di larghezza».

Quando lo scorso anno è stato chiamato da Francesco a realizzare altre due opere per i giardini Vaticani, ha raccolto tutti gli scarti in ferro di Città del Vaticano. Racconta di essere particolarmente affezionato al Cristo Operaio, una delle due opere. «Io ci credo in questo Cristo operaio che è un pastore lavoratore, è vicino alla gente».

Il primo incontro con Francesco è stato fondamentale per lui. «Tutti i momenti di vita sono difficili per un’anima sensibile in questo mondo», dice Alejandro, «ma lui mi ha mostrato una ricerca che mi ha armonizzato tutto. Mi sono creato una famiglia dopo aver lavorato con lui, dopo averlo incontrato. Per me era un’idea impossibile. Ha ridisegnato la massima felicità dello spirito, il mio, che era abbandonato».


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