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Dalla violenza alla misericordia, ecco la scommessa dell’Anno Santo

Francesco Occhetta, scrittore de La Civiltà cattolica, spiega il senso dell'Anno Santo straordinario che il Papa apre nel giorno dell'Immacolata. I carcerati addirittura potranno ottenere l’indulgenza giubilare anche “varcando la porta delle loro celle”.

di Francesco Occhetta S. I.

Di misericordia si vive, di violenza si muore. È la storia che ce lo insegna, i testi sacri sono ricchi di episodi che lo attestano. Israele aveva persino inventato la legge del taglione per stabilire la proporzionalità della risposta per il male subito. Oggi come ieri le stragi di Parigi e quelle nella terra del Medio Oriente ci impongono di fare una riflessione serie sul tema della misericordia proposto da Papa Francesco, per non lasciarlo in appalto al pensiero buonista.

Questo Giubileo della Misericordia – l’Anno santo straordinario indetto da Papa Francesco che è iniziato l’8 dicembre – è anzitutto questo: un tempo per sostare e porsi alcune radicali domande: “verso dove sta andando il mio mondo?”, “quali esperienze di misericordia ho vissuto nella vita?”.

La parola “giubileo” è antica, deriva dall’ebraico Yovel e designa un corno d’ariete – potremmo dire una tromba – con cui nell’ebraismo si annunciava un anno particolare. Nell'Antico Testamento il giubileo ricorreva ogni “sette settimane di anni” (Levitico 25, 8), quando si dichiarava “santo il cinquantesimo anno” e si proclamava per tutti “la liberazione”. Era, l’anno giubilare, il tempo della memoria dei doni di Dio all’uomo. Come la vita, la terra, la fraternità. Per riconoscerli, Israele doveva riposare: non si seminava, non si mieteva né si vendemmiava, si raccoglieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere. Attraverso la restituzione delle terre, ciascuno tornava in possesso del suo; inoltre, avveniva la remissione dei debiti, nelle vendite e negli acquisti nessuno faceva torto al prossimo, gli schiavi erano liberati (cf. Lv 25, 10-15). Tutto questo, per ristabilire l’equilibrio e l’equità nelle relazioni umane e affermare il principio che l’ingiustizia non è invincibile.

Colui che veniva incontro alle difficoltà di un parente, riscattando i beni persi per un debito, era detto go’el : letteralmente, il riscattatore. Nel Nuovo Testamento, il go’el che riscatta l’uomo dal dolore e dalla morte è Gesù. È intorno alla sua misericordia che Papa Francesco ha richiamato la Chiesa, e tutti gli uomini di buona volontà, a rimettere in equilibrio le relazioni umane e sociali (cf. Lev. 50, 8-17).

Con il Giubileo straordinario il Pontefice vuole mostrare al mondo il volto di Dio rivelato nelle Scritture. E questo, per affrontare con coraggio la crisi di fede. Il Giubileo, dunque, è esperienza della misericordia ricevuta da Dio, da ridonare agli altri.

In questo Anno santo della Misericordia tutto rimarrà nel solco della tradizione del Giubileo cristiano, nato formalmente nella Chiesa cattolica per volontà di Papa Bonifacio VIII (pontefice a dire il vero non simpatico né a Dante né a Jacopone da Todi e noto per lo schiaffo ricevuto da Sciarra Colonna, forse proprio per aver indetto un anno giubilare).

In una sua lettera, Papa Francesco indica le condizioni per vivere l’esperienza del Giubileo: compiere un breve pellegrinaggio verso una Porta Santa, aperta in tutte le cattedrali e nei santuari cattolici del mondo; vivere il sacramento della Confessione e l’Eucaristia. I carcerati addirittura potranno ottenere l’indulgenza giubilare anche “varcando la porta delle loro celle”.

Non basta, però, ripetere formule passate o princìpi, per quanto giusti. È compiendo atti misericordiosi che si comprende la misericordia di Dio per noi. Per questo, la Porta Santa, secondo Francesco, è là dove noi compiamo un’opera di misericordia, sia essa corporale — dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, ospitare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti —, sia essa spirituale: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, consolare gli afflitti, correggere i peccatori, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Sono queste le azioni che vincono la guerra e le violenze.

Il Giubileo ci provoca a ripensare l’agire di tutti, incluso quello politico e sociale, degli Stati, delle Organizzazioni internazionali, delle Banche, per perseguire una giustizia distributiva delle ricchezze del mondo, cessando l’atteggiamento predatorio nei confronti dei paesi poveri per trovare un modello di sviluppo sostenibile. Non tocca la riforma dell’organizzazione dell’istituzione Chiese, ma dei credenti.

(…)

Il Giubileo straordinario non sarà un fasto di pie cerimonie o un andare a Roma come alla Mecca: la natura e l’origine del Giubileo ci ricordano che è necessario un ripensamento che coinvolga tutti i livelli del pensare e dell’agire. Al pungiglione della violenza e degli attentati, come quello di Parigi, il Giubileo è il siero della Chiesa al mondo. E Francesco chiede di viverlo in prima persona. Una esperienza spirituale per ritrovare la “luce” del cammino, il “dove” della nostra casa, il “Tu” misericordioso del nostro cuore.

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