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Dentro la macchina. Architetture dell’azzardo di Natasha Dow Schüll

Giocare con le slot, sottolinea Natasha Dow Schüll, non è come comprare un biglietto per il cinema o andare a teatro. Non si può più tornare a casa. In Architetture dell'azzardo, un lavoro fondamentale da poco edito anche in Italia, la ricercatrice del MIT spiega che il "gioco alle macchinette è una spesa a flusso continuo e accelerato: le persone perdono coscienza del tempo e dello spazio, e la loro capacità di prendere decisioni si affievolisce man mano cresce l'attività di gioco”. Per questo, ogni appello al "gioco responsabile" è pura retorica o, peggio, mala fede.

di Peter Dizikes

È probabile che pensando ad un giocatore d'azzardo patologico si immagini una persona che tenta la fortuna per vincere una grossa somma di denaro. In realtà, quando Natasha Dow Schüll, professore associato al MIT Program in Science, Technology, and Society (STS), iniziò la sua ricerca sulla vita dei giocatori patologici a Las Vegas, trovò una motivazione molto diversa nascosta dietro all’ossessione per il gioco.

Un flusso continuo

Nel suo Architetture dell'azzardo. un libro-chiave per comprendere la questione, per cui l'autrice ha speso quindici anni di lavoro etnografico sul campo, finalmente disponibile anche in Italia grazie a Luca Sossella editore, Natasha Dow Schüll ricorda che

Per i giocatori, la questione non è vincere o perdere, ma quanto a lungo potranno continuare a giocare.

Per esempio, Mollie, una madre, impiegata presso un hotel di Las Vegas, giocava compulsivamente alle "macchinette", sperperando regolarmente il suo stipendio mensile in due giorni.

Non essendo sufficiente lo stipendio, aveva incassato anticipatamente la sua polizza-vita per giocare più soldi.

La cosa che la gente non capisce è che io non gioco per vincere” confessa Mollie. Lo scopo di Mollie era quello di entrare in uno stato di immersione totale nel gioco: “continuare a giocare – rimanere nell’isolamento della slot, dove nient’altro conta”. Mollie era entrata nella macchina e nella sua "zona affettiva

Ora, nel suo libro, Architetture dell'azzardo. Progettare il gioco, costruire la dipendenza (a cura di Marco Dotti e Marcello Esposito, traduzione di Irene Sorrentino, Luca Sossella editore, pagine 498 euro 18) Schüll entra nelle vite di questi giocatori, patologici e non. In particolare, si concentra sui giocatori delle slot – non quellidi giochi da tavolo, come il poker, che interagiscono con altre persone, ma i giocatori che "praticano" in solitudine, piegati davanti ai nuovi idoli, i terminali elettronici delle slot-machine.

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Per una percentuale della popolazione globale, questi giochi diventano un’esperienza totalizzante, un modo per estraniarsi dal mondo e dai problemi della vita quotidiana per ore e ore.

Alla fine, i giocatori che contraggono patologie alle slot-machine riconoscono la morsa che i giochi hi-tech hanno finito per esercitare sulla loro volontà. Come uno di loro confessa alla Schüll “ potrei dire che per me la slot è un’amante, un’amica, un appuntamento, ma in realtà non è niente di tutto ciò: è un aspiratore che succhia via la vita da me e che succhia me via dalla vita”.

Schüll pensa che questo aspetto del gioco d'azzardo (cioè che per i "malati" non è questione di vincere denaro ma di scappare e raggiungere l’ “isolamento”) ha ingannato i politici che dicono di combattere per contrastare questo fenomeno

“Si tratta", osserva Schüll, "di un vero blocco mentale da superare per questi politici”.

E subito aggiunge:

Tutti noi pensiamo che il danno sia quanto denaro viene buttato via e che ciò che guida i giocatori patologici sia il desiderio di far soldi. Ma … l’ isolamento è veramente quello che guida la loro esperienza al gioco. L’idea di vincere denaro si frantuma quando arrivi al punto della dipendenza dal gioco.

Tutti sanno che cos'è la solitudine, ma pochi la vivono

Il libro della Schüll rappresenta il culmine di un lungo processo di ricerca, iniziato nei primi anni Novanta, con una tesi di laurea alla Berkeley sul modo con cui l’architettura dei casinò incoraggiava i clienti a giocare e scommettere di più.

Alla fine degli anni Novanta, si è trasferita a Las Vegas per condurre ricerche sui giocatori patologici, intervistando un gran numero di giocatori e di lavoratori dell’industria delle slot. Ha poi lavorato anche in un programma di trattamento di dipendenza da gioco. Ma questo libro è molto, molto di più.

Il fenomeno che la Schüll ha finito per studiare è sia quello che molti di noi hanno sperimentato (tutti ci siamo estraniati dal mondo navigando online o giocando ai videogiochi) sia quello che viene portato all’estremo nei giocatori da slot.

“L’esperienza di essere isolati l’abbiamo provata tutti, sia che sia stata causata dalla partecipazione ad una asta su eBay sia che sia stata causata quando, seduti in treno, abbiamo giocato compulsivamente con il telefonino” sostiene la Schüll, che di formazione è antropologa e ha scelto il suo campo di ricerca nelle nuove tecnologie.

Il “disturbo del controllo dell’azzardo”, come l’American Psychiatric Association definiva il il gioco d'azzardo patologico, sembra affliggere circa l’1-2% della popolazione statunitense. Ma, come la Schüll osserva nel suo libro, i giocatori patologici generano il 30-60% del fatturato dell’industria delle slot.

In Architetture dell'azzardo, l'autrice documenta non solo la natura di quella che impropriamente chiamiamo "ludopatia" ma dovremmo chiamare patologia da gioco d'azzardo, ma anche il modo in cui l’industria del gioco d’azzardo ha messo in campo tecnologie sofisticate per creare macchine elettroniche sempre più coinvolgenti per i giocatori.

Le slot più moderne, per esempio, consegnano un flusso frequente di piccole vincite, invece che pochi grossi jackpot. Perché? La ragione è che dopo essersi immersi nelle slot machine, molti giocatori assomigliano ad un giocatore patologico che la Schüll studò a lungo e che “si arrabbiava quando vinceva, perché ci voleva un po’ di tempo perché il jackpot salisse, così lei doveva starsene seduta ad aspettare ed il flusso di gioco si interrompeva”.

Progettate per il profitto. La schizofrenia etica dei produttori

Schüll ricorda come

È il flusso dell’esperienza di gioco quello che le persone ricercano. Il denaro è un mezzo per stare seduti più a lungo a giocare, non il fine del gioco. Le persone non vogliono vincere il jackpot e andare via. Le persone vogliono vincere il jackpot e rimanere seduti fino a quando non se lo sono giocato tutto

Natasha Dow Schüll, “Architetture dell’azzardo”

Parlare con i giocatori, osserva Natasha Dow Schüll fornisce una “intuizione profonda” del fenomeno della dipendenza da gioco.

“Non ho incontrato 'creduloni". Non c’è stato un singolo giocatore che abbia provato a dirmi: io ho il sistema, io ho capito come battere la macchina, Erano persone sfinite, assolutamente consapevoli che non si sedevano davanti alle slot per vincere”.

Di tutti quelli che lavorano per l’industria dell’azzardo Natasha Dow Schüll dice: “Ci sono persone molto intelligenti focalizzate sugli aspetti tecnologici, ma non pensano alle conseguenze più ampie di quello che stanno facendo”.

E aggiunge: “Nessuno di loro si siede alla scrivania, pensando a come rendere dipendenti i giocatori. Loro pensano a come aumentare i profitti … e come possono, cercano di isolarsi eticamente dal risultato delle loro azioni”.

Senza spazio, né tempo: azzardo senza fine

Tra gli studiosi che hanno apprezzato questa impostazione, segnaliamo Tanya Luhrmann, un’antropologa della Stanfrod University. Luhrmann loda il modo con cui “cattura l’intensità della relazione tra le persone e le macchine, che è una parte così rilevante di quella che viene definita l’esperienza della dipendenza”.

La Luhrmann aggiunge che fino alla lettura di Architetture dell'azzardo “non aveva realizzato che il gioco d’azzardo fosse così tanto centrato sull’esperienza” del giocare e non del vincere.

La ricerca della Schülll ha attirato una considerevole attenzione molto prima della pubblicazione del libro. Ha inoltre relazionato sul tema di fronte al Parlamento dello Stato del Massachusetts.

I politici devono prima capire e poi parlare

Ma la Schull si astiene dall’offrire specifiche indicazioni per regolamentare le modalità di gioco. In alcuni Paesi, i legislatori hanno suggerito di ridurre la velocità delle slot machines elettroniche per rallentare anche l’intensità dell’esperienza – una soluzione tecnologica che la Schüll definisce “controproducente” perché potrebbe semplicemente indurre i giocatori patologici a giocare per periodi di tempo più lunghi, usando lo stesso ammontare di denaro.

Giocare con le slot, sottolinea la Schüll, “ non è come comprare il biglietto del cinema o fare shopping e poi tornare a casa. Giocare con le slot significa immergersi in un flusso continuo,o dove le persone perdono coscienza del tempo e dello spazio e la loro capacità di prendere decisioni scivola via durante l’esperienza”.

Invece, la Schull si domanda: “Data la natura di questo prodotto e di questa interfaccia, non dovrebbero i politici e i legislatori capire meglio come questo prodotto influenza le persone?” Ed aggiunge “Io penso che il mio lavoro sia parte di un dibattito che finalmente sta nascendo”.


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