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Preghiera laica di un operatore sociale

Una preghiera laica al centro del racconto, e della vita, di un operatore sociale. E i suoi dubbi: perché, in Italia, tutti lottano contro la povertà, ma la povertà non fa che aumentare? E poi ci sono i manager e le loro parole. C'è chi sbaglia e non paga mai e chi paga sempre, anche per le colpe degli altri. Ma la speranza è tenace. La più tenace delle virtù

di Marco Ehlardo

Caro Babbo Natale, so che non esisti, ma scrivo a te per simpatia, visto che nel tuo nome non è mai stato ucciso nessuno nella storia dell’umanità.

E poi anche io sono un personaggio immaginario, e tra noi forse ci si capisce meglio che non con quelle tante persone reali che si cuciono addosso personaggi ben più improponibili di noi.

Il 2015 è stato un annus horribilis, l’ennesimo da tanto tempo a questa parte. Voglio però guardare al 2016 con maggiore fiducia, magari irrazionale, nella speranza che tante cose finalmente cambino.

Innanzitutto vorrei che la lotta alla povertà fosse davvero una priorità per questo Paese, e non uno strumento di campagne elettorali o di marketing.

Trovo incomprensibile che nel terzo millennio si consenta ancora che ci siano persone che vivono in condizioni di estrema povertà.

Mi piacerebbe che i politici provassero questa condizione per un po’, tipo per un mese, così magari un giorno si svegliano e si trovano a pensare “ma che cazzo ci dobbiamo fare con questi altri cacciabombardieri? Quasi quasi finalmente lo approviamo un reddito di cittadinanza”, o reddito minimo, che tra l’altro siamo gli unici in Unione Europea, assieme alla Grecia, a non avere ancora in nessuna forma.

E poi in Italia c’è una marea di organizzazioni che si dicono impegnate nella lotta alla povertà, ma questa non fa che aumentare. Mi domando se, a volte, questa gente pensi che la povertà, per combatterla (e tenere in piedi i relativi baracconi), non vada prima creata. Sarà una stana legge di mercato che non comprendo, e se anche la comprendessi non potrei accettarla.

Vorrei poi che le migrazioni venissero affrontate per quello che sono, ossia un fenomeno drammatico ma anche naturale, e non una continua emergenza e/o business.

E vorrei, ancor più, che la politica e i media si decidano una volta per tutte. Il giorno prima uno sbarco diviene “l’invasione dei clandestini” o, di recente, persino di “possibili terroristi”, perché l’opinione pubblica va spaventata su questo e distolta da altro. Poi, il giorno dopo, lo stesso sbarco diviene quello di “povere vittime della tratta di esseri umani”, magari perché si vuole trovare il pretesto per bombardare la Libia o la Siria. Quelle persone, per me, sono “esseri umani” sia nel primo che nel secondo caso. Un po’ di coerenza è chiedere troppo?

E poi vorrei che quelli che ci ammorbano dalla mattina alla sera sui “nostri valori cristiani” si ricordassero, se mai lo avessero letto, che questi valori sono l’uguaglianza, la solidarietà, l’accoglienza, non il razzismo, la repulsione, e una superiorità di cui nessuno ci ha mai investito.

Vorrei poi che il mio mondo, il terzo settore, torni ad essere un luogo di impegno serio, di condivisione collettiva, di interesse verso gli ultimi ed i loro diritti. Non era tutto così prima che scoppiasse lo scandalo Mafia Capitale (quando non ne parlava nessuno, anzi non se ne poteva proprio parlare) e non è tutto l’opposto ora (quando l’opinione pubblica, ahinoi, tende a fare di tutta un’erba un fascio).

Basterebbe che le organizzazioni che dicono di tutelare i diritti lo facciano davvero, che quelle che parlano di responsabilità siano responsabili, che quelle che promuovono la partecipazione siano davvero partecipative. Non mi sembra così difficile.

Infine vorrei che a noi operatori sociali sia riconosciuto il ruolo ed il rispetto che, credo, ci siamo guadagnati in questi anni.

Che la nostra categoria sia considerata un lavoro e non un hobby. Anzi, ti dirò, vorrei che per noi si parlasse persino di lavoro usurante. Ci provassero gli altri a lavorare quotidianamente con il disagio sociale, poi vediamo come si sentono a fine giornata.

Vorrei che nel terzo settore non si parlasse più di “lavorare per” ma di “lavorare con”; che quando i manager sbagliano, non siamo sempre noi ultime ruote del carro a pagarne le conseguenze (sennò che differenza ci sarebbe tra profit e non-profit? Solo i vantaggi fiscali?).

Insomma, vorrei che la gente e le istituzioni valorizzassero quella buona parte del terzo settore che ancora è tale, e per quell’altra tanti saluti. O, almeno, che per questi ultimi si crei un’altra categoria, tipo terzo-settore-e-mezzo o ci-piacerebbe-essere-non-profit-ma-proprio-non-ci-riusciamo.

Rileggendo, mi sto rendendo conto che quanto ho scritto finora somiglia di più ad un romanzo di fantascienza.

Forse avrei dovuto scrivere ad Isaac Asimov.

Se tu lo dovessi sentire, chiedigli se magari lui può fare qualcosa.

Grazie

Tuo

Mauro Eliah

Marco Ehlardo (Napoli, 4 febbraio 1969) ha lavorato per oltre dieci anni a Napoli in servizi per migranti, coordinando un programma di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Dal 2011 si occupa anche di lotta alla povertà e di giovani a rischio esclusione sociale. Ad ottobre 2014 è uscito per la Edizioni Spartaco il suo primo libro “Terzo settore in fondo: cronistoria semiseria di un operatore sociale precario”, atto di denuncia, in forma di romanzo/saggio ironico, di una parte del mondo dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Mauro Eliah, operatore sociale precario, ne è il protagonista.


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