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Becchetti e il tagliando al 2015 dell’Unione Europea

L’economista fa il punto sull’Eurozona tra emergenza migranti, terrorismo, crisi bancarie e ascesa dei partiti euroscettici. «O l’Unione capisce che deve diventare l’Europa della solidarietà o non sarà più»

di Lorenzo Maria Alvaro

Questa settimana i risultati elettorali spagnoli hanno riaperto, con l’ascesa di Podemos, il problema che dopo i fatti di Parigi e l’emergenza migranti, per molti mesi è rimasto nell’ombra. Dopo un 2015 all’insegna delle tensioni tra Paesi dell’Ue, con detonatore la Grecia targata Tsipras il 2016 sembra ripartirà da qui. Da un Europa che fatica a cambiare consegnandosi sempre più in mano a forze euroscettiche. Da Le Pen in Francia a Podemos e Ciudadanos in Spagna la linea segnata da Syriza sembra fare proseliti. L’economista Leonardo Becchetti fa il punto sui passi verso il cambiamento che l’Unione Europea ha cercato e deve ancora fare.

Nel 2014 lei ha firmato insieme ad altri 360 economisti italiani un manifesto chiedendo un cambio di rotta all’Europa. Quali erano i punti del programma?
In primo luogo il Quantitative Easing, poi una politica fiscale europea espansiva, l’armonizzazione fiscale tra i Paesi membri, un piano di ristrutturazione del debito e una riforma politica per una maggiore partecipazione democratica.

Punti che in parte sono diventati realtà…
Si, è passato il Q. Di fatto anche il rispetto del fiscal compact è saltato anche se non è stato teorizzato. Italia e Francia hanno sistematicamente derogato. Sull’armonizzazione fiscale c’è un percorso di lotta all’elusione, anche attraverso all’Ocse, che sta andando avanti. Queste sono i passi che sono stati fatti e che hanno salvato l’Europa. In particolare il QE che ha fatto cadere l’asimmetria dei tassi di interesse tra nord e sud.

Ma non basta?
Il problema è che gli squilibri non si sono risolti e il denaro gettato dagli elicotteri è rimasto nei cortili delle banche e non è arrivato ai cittadini. In Italia ad esempio è vero che è ripartita l’economia ma c’è ancora troppa paura e incertezza. E senza fiducia i consumi non possono ripartire

Cosa fare dunque?
C’è solo una possibilità: o l’Europa o diventa l’Europa della solidarietà o non sarà.

Quali sono concretamente le misure necessarie per un Europa della solidarietà?
Deve nascere un reddito di inclusione sociale europeo. Si può fare integrando le varie misure di reddito minimo garantito che già ci sono in Europa e prendere risorse o dalla Carbon Tax o dalla Tobin Tax. Questo è fondamentale e deve essere un cambiamento strutturale. C’è bisogno di una rete di sicurezza che questa flessibilità ha archiviato, per dare tranquillità e rilanciare i consumi.

Solo questo?
Un altro passo deve essere la green revolution. Il tema dell’efficienza energetica delle abitazioni e il passaggio ad un economia a zero rifiuti e zero emissioni. Infine i tassi di cambio non possono restare tabù. Bisogna che i Paesi membri si mettano ad una tavolo e stabiliscano se il sistema di cambio stabilito ha senso oppure no.

Questa secondo lei è la risposta all’euroscetticismo?
Sì, solo così si potrà in qualche modo fermare l’ascesa fortissima di partiti euroscettici come Podemos, Le Pen e prima Syriza. Ma la responsabilità è dei partiti di governo. E questo, bisogna dirlo, Matteo Renzi lo ha capito. Tanto che ha rubare parte dei temi delle opposizioni anti europeiste, come quelle dei 5 Stelle. Penso alla lotta alla corruzione e alla dialettica europea.


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