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Cooperazione & Relazioni internazionali

Laura Frigenti: Ecco le sfide dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale

Dal 1 gennaio è entrata ufficialmente in funzione la nuova Agenzia italiana per la cooperazione internazionale. Un soggetto cruciale del nostro modello di cooperazione allo sviluppo chiamato a svolgere le funzioni e realizzare gli interventi di cooperazione internazionale in precedenza gestiti dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo (DGCS). La direzione dell'Agenzia è stata affidata a Laura Frigenti, giunta ieri a Roma in provenienza dagli Stati Uniti per insediarsi in via Contarini e che, in questa intervista rilasciata a Vita.it, delinea le sfide principali che l’attendono, la sua visione della cooperazione internazionale e le sue ambizioni.

di Joshua Massarenti

Pubblichiamo un anteprima di Vita magazine in edicola dal 7 gennaio

Che cosa l’ha convinta a candidarsi al posto di Direttore dell’Agenzia?

Quando ho lasciato l’Italia nel 1993 facevo parte di un gruppo che cercava di creare une convergenza di idee per dotare l’Italia di un’agenzia, dopo vent’anni trascorsi all’estero finalmente questa legge è stata approvata. Il mio ritorno come direttrice mi consente di chiudere un cerchio nella mia carriera professionale.

Con quali ambizioni?

Mettere al servizio del mio paese le esperienze che ho potuto acccumulare in ambito internazionale negli ultimi 20 anni.

Tra le numerose sfide che l’attendono, quella più urgente riguarda il lancio dell’Agenzia. In che modo l’assenza di un vice-ministro influisce su questa fase cruciale?

Sarebbe stato sicuramente auspacibile avere un viceministro in funzione come referente politico principale durante questa fase di lancio in cui stiamo costruendo le fondamenta dell’Agenzia. Devo dire che le stutture politiche esistenti all’interno del ministero mi hanno dato un grande appoggio, special modo nelle figure del ministro degli Esteri, i due sottosegretari e il direttore generale della DGCS. Facciamo del nostro meglio in circostanze particolari.

Concretamente, cosa significa?

Esistono due tipi di preoccupazione. La prima riguarda la necessità di garantire la continuità delle attività in corso. L’Agenzia è nuova, ma in realtà eredita di tutta una serie di programmi e progetti già esistenti. Nessuna di queste attività deve soffrire per rallentamento. Ci sono poi le sfide che invece riguardano il passaggio dalla DGCS all’Agenzia e la sua implementazione come struttura.

Poche settimane fa il Direttore della DGCS, Giampaolo Cantini ha annunciato che le bozze dei decreti attuativi erano pronte. In che modo intende contribuire a queste bozze e con quali appoggi?

La DGCS ha svolto un grande lavoro preparatorio. Posso contare sui colleghi che hanno avuto fino al 31 dicembre per decidere di passare o meno all’agenzia e che assieme a me stanno lavorando su queste bozze. Tra loro ci sono esperti, il personale comandato e il persone di ruolo della DGCS. Come sa, l’Agenzia prevede poi la presenza di due vicedirettori, uno con mansioni tecniche, il secondo con un profilo giuridico-amministrativo, i quali saranno a loro volta affiancati da 16 dirigenti non generali con funzioni equivalenti ai capi uffici della DGCS. All’estero poi, ci sono gli uffici tecnici che stiamo accreditanto presso i governi dei paesi nei quali sono presenti e la cui operatività è già garantita. In tutto ci saranno circa 200 persone a Roma e un centinaio all’estero.

Per ora la mia priorità è la selezione dei due vicedirettori generali. Non appena arriverò a Roma il 4 gennaio mi incontrerò con Cantini per decidere insieme a lui come procedere sul piano operativo e completare l’organico dell’Agenzia attraverso bandi che organizzeremo per riempire le caselle mancanti. Ripeto, la mia principale preoccupazione è quella di non fermare i lavori in corso rendendo minimanente operativa l’Agenzia, il che significa mettere nelle condizioni di lavorare efficacemente il personale che avrò a disposizione il 4 gennaio. Voglio che una volta tornata dalle ferie la gente trovi una sede dove lavorare, uffici che funzionano, dei processi che possono seguire, ecc.

La mia principale preoccupazione è quella di non fermare i lavori in corso rendendo minimanente operativa l’Agenzia.

Nel 2016 l’Agenzia dovrebbe disporre di circa 290 milioni di euro. Un pò poco, non crede?

Rispetto alle sfide che ci attendono non sono molte, ma è bene sottolineare che i fondi tornano a crescere, il che è positivo. L’aumento delle risorse va di pari passo con il rafforzamento dell’economia, l’auspicio è che l’Italia continui a crescere. Certo, siamo lontani dal famoso traguardo dello 0,7% del Pil, ma anche se i paesi dell’OCSE lo raggiungessero entro i prossimi tre anni come auspicato da Ban Ki Moon, i bisogni rimarranno largamente superiori rispetto a quel traguardo. La questione non è quanto sono voluminose le risorse degli APS, ma come riescono ad operare in modo catalitico per far convergere flussi finanziari privati a favore dello sviluppo. E’ questo il challenge principale degli SDGs, indipendente dal livello di crescita economia di un paese.

Tutti o quasi sono d’accordo sul fatto che il settore privato sia un attore fondamentale per la crescita dello sviluppo. Quali sono le condizioni ed i criteri affinché questo settore acceda ai fondi pubblici in modo paritario rispetto alle ONG?

Ho lavorato molto per la preparazione della Conferenza di Addis Abeba sul finanziamento per lo sviluppo. E’ ormai chiaro a tutti che gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) non sono più gli unici flussi che vanno presi in considerazione. Abbiamo un’enorme quantità di risorse che si muovono – dal settore privato alle ONG passando per la filantropia – gli APS dovrebbero quindi avere un ruolo catalitico in cui far convergere questi attori con modalità operative e obiettivi diversi. L’agenda con il settore privato va ben oltre la semplice la gestione dei fondi degli APS, che rimangono limitati rispetto ad altri flussi. Nel caso delle imprese, devono fare da leva per investimenti molto più importanti.

Come vede il ruolo del Consiglio nazionale della cooperazione allo sviluppo, i cui inizi destano molte perplessità tra le ONG?

E’ un foro importantissimo in cui confrontarsi con tutti gli stakeholders della cooperazione e assieme ai quali è necessario discutere delle questioni di fondo della cooperazione.

E per quanto riguarda la Cassa Depositi e Prestiti?

Tra tutti i modelli esistenti, mi sembra che la Banca dello sviluppo tedesca KFW abbia avuto un ruolo di detonatore fondamentale per amplificare gli obiettivi di sviluppo della cooperazione tedesca e consentirle di raggiungere con successo i suoi traguardi. Spero che riusciremo a creare le stesse convergenze anche qui in Italia.

Quali sono le aree geografiche e gli assi prioritari su cui l’Agenzia dovrebbe intervenire?

Sono quelli definiti dal documento di programmazione triennale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Vista la posizione geografica del nostro paese, non posso non condividere la scelta di fare del Mediterraneo e dell’Africa delle priorità assolute, così come le migrazioni. Non bisogna poi tralasciare temi importanti su cui l’Italia è impegnata come i minori, le opportunità ai giovani, ecc.

La questione non è quanto sono voluminose le risorse degli APS, ma come riescono ad operare in modo catalitico per far convergere flussi finanziari privati a favore dello sviluppo.

Qual’è la sua visione del futuro della cooperazione italiana nell’ambito più globale di una cooperazione internazionale che sta cambiando radicalmente pelle?

Nell’ambito dell’agenda post-2015, si è molto dibattuto su come fare per rispondere alle sfide pressanti a livello mondiale attraverso gli strumenti a disposizione. Questa riflessione avviene in un contesto dove è necessario lavorare in un cerchio molto più espanso di attori e dove, soprattutto, la decisione sulle azioni da implementare e sulla gestione dei vari flussi finanziari si spostano dalle capitali dei paesi del Nord alle capitali dei paesi beneficiari. A differenza degli Obiettivi del Millennio, nell’era post-2015 ogni paese è responsabile dell’implementazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. I paesi beneficiari dovranno dotarsi di capacità istituzionali in grado di gestire queste risorse e monitorarne l’utilizzo rafforzando le proprie capacità di gestione dei dati da condivedere con l’opinione pubblica per apprezzarne i risultati. Ed è quindi altrettanto fondamentale creare a livello locale una società civile forte e capace di controllare l’uso di questi fondi a favore dello sviluppo. Su questa sfida, da cui dipende la trasparenza degli aiuti, l’agenzia sarà impegnata, sulla scia di quanto già fatto dalla DGCS e in linea con il documento programmatico del MAECI.

Come può e deve l’Italia attrezzarsi per influire sulle decisioni che vengono prese a Bruxelles sulla cooperazione internazionale?

Sulla base della mia esperienza e dei vent’anni trascorsi in un’istituzione multilaterale come la Banca Mondiale, penso che l’influenza di un paese non è direttamente proporzionale alle risorse, ma alla capacità di produrre idee. Purtroppo, questa capacità è venuta un pò a mancare al nostro paese. L’Italia è stata assente dal dibattito sui temi, le priorità, la definizione delle modalità dello sviluppo. Spero che una realtà diversa dalla DGCS come l’Agenzia riesca ad avere una massa critica di personale tecnico che possa contribuire a questo dibattito.

C’è un attore a cui la legge 125 intende assegnare un ruolo importante ma di cui si parla molto poco, la diaspora. Che spazio intende assegnare alle comunità di immigrati presenti in Italia?

Ho lavorato sul contributo che le diaspore possono dare ai loro paesi di origine. Alla luce di questa mia esperienza, mi sono resa conto che uno degli approcci più efficienti sono quelli di alcuni mesi durante i quali un migrante presta i suoi servizi ad un’amministrazione pubblica, ad un’ONG o al settore privato del paese di cui è originario. Ricordo che dopo la caduta di Menghistu in Etiopia nel 1991, molti membri della diaspora etiope volevano tornare in madrepatria per ricostruire il loro paese, ma tra il dire e il fare ci si è messo di mezzo il mare. Un immigrato è sempre stiracchiato tra la terra che ha lasciato e quello che è riuscito a costruire nel paese o il continente che lo accolto, a partire dalla famiglia.

Esistono altri attori poco noti in Italia come la Banca africana per lo sviluppo, di cui il nostro paese è uno dei più importanti contributori. Che importanza può avere un interlocutore di questo genere per l’Agenzia?

Strategico, anche perché in questi ultimi anni le banche di sviluppo sono in forte crescita qualitativa, sia sul piano dei prodotti che delle politiche che sono riuscite ad implementare per contribuire allo sviluppo dei paesi poveri. La Banca africana per lo sviluppo ha un nuovissimo presidente, molto competente e carismatico quale Akinwumi Adesina, con cui è opportuno interfacciarsi.

Alla luce delle sfide che attendono l'Agenzia e della sua visione sulla cooperazione internazionale, quanto è importante per lei comunicare su questi aspetti?

Se il ruolo dell'aiuto allo sviluppo è quello di creare una convergenza tra gli attori coinvolti nel mondo della cooperazione, è bene che questa convergenza venga comunicata in modo chiaro, condividendo gli obiettivi e lo spazio di discussione e di espressione dei contributi individuali. Insomma, a mio giudizio la comunicazione ha un ruolo di prima importanza.


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