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L’emergenza della scuola? È il clima di conflitto

Massimo Cerulo, sociologo dell’Università Perugia, ha seguito come un'ombra quattro dirigenti scolastici. Il suo libro restituisce l'immagine di presidi-equilibristi, obbligati a svolgere mille ruoli tranne quello che sarebbe il loro: esercitare la leadership educativa. Così la scuola è diventata un campo di conflitti in cui nessuno (o quasi) pensa più ai ragazzi

di Sara De Carli

Che cosa fa esattamente un preside? Com’è la sua giornata di lavoro? Quanto tempo dedica alla burocrazia e quanto ad incontrare docenti e studenti? Quanto della sua energia viene indirizzato a innovare e migliorare la didattica e quanto a gestire problemi amministrativi? Insomma, il dirigente scolastico – che ha per contratto un enorme carico di responsabilità: penale, civile, amministrativa – è un manager o un leader educativo?

Per rispondere a queste domande Massimo Cerulo, sociologo dell’Università Perugia, è diventato l’ombra di quattro dirigenti: a Torino e Cosenza, in provincia di Treviso e in provincia di Bari, due licei e due IIS. Li ha seguiti come un’ombra per una settimana ciascuno: da lunedì a venerdì, dalle 8 alle 14. Li ha osservati mentre lavoravano, ha ascoltato tutte le loro conversazioni, ha assistito a tutti i loro incontri. Ne è uscito un libro, “Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico”, finanziato dalla Fondazione Agnelli e pubblicato da Rubettinoebook (si può scaricare gratuitamente dal sito della Fondazione) che sta suscitando molto dibattito. Perché dal libro emerge che il dirigente fa – come ha titolato il “Corriere della Sera” – mille mestieri tranne uno.

Cerulo, partiamo dalla metodologia: perché seguire come un’ombra un numero così piccolo di dirigenti legittima a tratte conclusioni generali?

Si chiama shadowing, ed è una tecnica di analisi qualitativa di cui è stata pioniera Marianella Sclavi, quando nel volume “A una spanna da terra” seguì come un’ombra due alunne, una americana e una italiana, frequentanti una scuola superiore di buon livello. In sociologia si parla di trasferibilità dei dati: chiaramente non tutto è rappresentativo, ma in queste osservazioni qualitative ci sono elementi significativi che sicuramente saranno presenti anche in altre future osservazioni. Naturalmente bisogna porre attenzione al campione, che è a scelta ragionata: nord, sud, uomo, donna, città, provincia, tipo di scuola.

Tutti i dirigenti però sono fra i 55 e i 65 anni, l’età non conta?

Avere un DS più giovane avrebbe falsato proprio la possibilità di generalizzare, dal momento che in Italia, purtroppo, abbiamo dirigenti e docenti piuttosto anziani.

Cosa ha scoperto che non si aspettava?

La prima sorpresa è che i dirigenti – ma poi tutti li chiamano ancora presidi – fanno tanti di quei mestieri che è impensabile da fuori. Io non immaginavo. Il dirigente veste ogni giorno mille maschere, mille ruoli: fa l’avvocato, l’investigatore, il counsellor, il mediatore culturale, l’esperto di ingegneria, il questuante. È una situazione di perenne emergenza: poiché mancano i fondi per chiamare esperti e poiché il dirigente ha comunque un carico di responsabilità di cui deve rispondere, il dirigente fa personalmente tutto e di tutto.

Lei dice che i dirigenti soffrono della sindrome di Argo Panoptes, ossessionati dall’idea di dover controllare tutto. Il problema è che non delegano?

Nella realtà c’è uno scollamento tra il dirigente e il presunto ufficio di staff che dovrebbe aiutarlo e in questo senso anche le novità introdotte con la buona scuola non mi sembrano cogliere nel segno. Non è che il dirigente non deleghi, piuttosto quello che ho visto è che gli altri stanno molto attenti a non assumersi responsabilità di cui poi dovrebbero rispondere. Il preside utilizza abbastanza la delega, ma alla prova dei fatti questa non viene recepita: non ne faccio una colpa dei collaboratori, parliamo pur sempre di docenti, non di tecnici, perché dobbiamo pretendere da una persona formata per insegnare che sia in grado di assumersi responsabilità amministrative o tecniche? Il problema è che nemmeno i dirigenti sono formati per farlo: lo fanno perché devono.

Ci sono casi particolari che l’hanno colpita?

Mai avrei pensato che il preside debba fare anche l’avvocato in tribunale. È una cosa incredibile, ma è successo in tre casi su quattro. Se in una scuola capita un infortunio, l’assicurazione paga una quota, ma poi è prassi che la famiglia citi nuovamente la scuola in giudizio perché ritine che la quota sia bassa. L’Avvocatura dello Stato difende la scuola, ma al sud questo non succede perché c’è penuria di avvocati, quindi il preside va di persona in tribunale, fisicamente e legge quello che c’è scritto sull’atto difensivo mandato dall’Avvocatura dello Stato, senza avere nessuna competenza. In tre casi su quattro non esiste nella scuola uno sportello di ascolto e quindi il preside fa counselling: sta seduto come una spugna, ascolta le richieste, le pretese, le lamentele e gli insulti degli studenti, dei genitori, dei docenti, del personale ATA. A Cosenza ho assistito a una scena indimenticabile, con madre che ha iniziato insultando, è passata al pianto, e alla fine si è alzata ringraziando il preside, senza che questo abbia detto praticamente nulla durante tutto il colloquio. Questo sottare tempo al lavoro del dirigente e in più il dirigente non ha alcuna formazione specifica per farlo.

Il dirigente deve indossare tante diverse maschere e camminare davvero sul filo, come al circo, cercando di non cadere perché se si cade si fa male il dirigente ma anche la scuola, i docenti, i ragazzi…. Il dirigente vive una grande solitudine, l’immagine che emerge è quella di un uomo solo al comando ma non nel senso che ha tanto potere bensì per il carico di responsabilità che gli gravano sulle spalle

Quindi il titolo equilibristi indica proprio il barcamenarsi fra tanti ruoli, in cui non si è sicuri?

Sì, il dover indossare tante diverse maschere e il camminare davvero sul filo, come al circo. Cercando di non cadere. Perché se si cade si fa male il dirigente ma anche la scuola, i docenti, i ragazzi…. Il dirigente vive una grande solitudine, l’immagine che emerge dal campo è quella di un uomo solo al comando ma non nel senso che ha tanto potere o che lo gestisce in modo “dittatoriale”, bensì per il carico di responsabilità che gli gravano sulle spalle: se qualcosa va male è lui a doverne rispondere. Io davvero non credeva di trovare questa situazione. Osservare dal vivo la realtà della scuola ti fa capire come le analisi teoriche siano tutte monche.

Dopo questo viaggio, lei che proposte farebbe?

Comincerei a dare ai dirigenti un ufficio di staff degno di questo nome, con tecnici preparati. Il principio deve essere quello weberiano: l’uomo giusto al posto giusto e il docente non è formato per occuparsi di questioni edili, legali, psicologiche… L’idea è che il DS possa nominare a tempo, come consulenti, i tecnici che gli servono di volta in volta, come accade in politica. Ad esempio se ci sono molte cause prende un legale oppure uno psicologo, 2/3 tecnici assunti a consulenza che possano realmente coadiuvare il dirigente.

Una delle conclusioni di questa osservazione è che il dirigente è molto manager e poco leader educativo. Come mai accade ciò?

I presidi non riescono quasi per nulla ad essere leader educativi, non ha il tempo materiale per farlo, perché le incombenze amministrative sono più grandi e pesanti, perché se lì sbagli ti arriva la citazione in giudizio e la causa. La risposta più semplice quindi è che i dirigenti non hanno abbastanza tempo per riuscire a occuparsi di entrambi gli ambiti. In questo senso un vero staff di tecnici potrebbe aiutare, come pure la divisione delle strade, con due dirigenti: un DSGA, un direttore amministrativo che avrebbe tutto il carico delle responsabilità amministrative e un dirigente scolastico che sia leader educativo. Io ho trovato 4 DSGA molto competenti, ci sono anche casi in cui non è così: dovrebbero lavorare molto più a braccetto. D’altra parte il DSGA è una figura che esiste, dovrebbe essere preparata, perché non gli diamo uno status più ufficiale?

I presidi non riescono quasi per nulla ad essere leader educativi, non ha il tempo materiale per farlo, perché le incombenze amministrative sono più grandi e pesanti, perché se lì sbagli ti arriva la citazione in giudizio e la causa

Tutti abbiamo una visione della scuola, spesso legata ai nostri ricordi: com’è davvero la scuola oggi in Italia?

C’è un clima non positivo, questa è la cosa che più mi ha colpito. Un clima di astio, di conflitto manifesto tra docenti, docenti e DSGA, docenti e dirigenti. Pierre Bourdieu diceva che per studiare i gruppi scoiali occorre partire dal presupposto del conflitto: nella scuola è proprio così, ci sono quelli che cercano di mettersi in mostra, di raggiungere dei fini e quelli che subiscono e il Dirigente deve mediare. La scuola è quotidianità di conflitto.

È quadro terribile quello che dipinge.

Ma vero.

E i ragazzi in tutto questo?

Io non so quanto la scuola sia per gli studenti, mi sembra più centrata sui docenti e sulle loro esigenze professionali. Ho visto pochi docenti nutrire passione verso i ragazzi. A Treviso, una scuola di oltre mille studenti, il preside mi ha mostrato sconsolato il foglio orario: su decine di docenti, solo 2 avevano dato la disponibilità a fare la 19esima ora. Tutti si sono rifiutati. C’è disaffezione non verso la scuola ma verso l’ambiente scolastico, che è diverso, perché poi magari quelli insegnanti tornano a casa, studiamo, scrivono… C’è un problema di mancanza di empatia nell’ambiente scuola, di incapacità di fare ascolto attivo. Se non c’è questo clima in cui tutti si sentono parte di un progetto comune, è difficile che la scuola sia una quotidianità produttiva. È compiuto del dirigente creare un ambiente empatico, propositivo, far sentire tutti attivi, ma se il DS non ha il tempo di occuparsi alla costruzione dell’ambiente, dell’interazione, allora ognuno va per conto suo, come particelle impazzite. Credo che l’emergenza sia davvero questa.

Pierre Bourdieu diceva che per studiare i gruppi scoiali occorre partire dal presupposto del conflitto: nella scuola è proprio così. La scuola è una quotidianità di conflitto. Io non so quanto la scuola sia per gli studenti, mi sembra più centrata sui docenti e sulle loro esigenze professionali.

I dirigenti come hanno preso il suo libro?

Sta facendo scalpore. Sto ricevendo molte richieste di presentazione, molti dirigenti mi stanno scrivendo, alcuni mail lunghissime, come delle confessioni. Uno degli obiettivi del libro era favorire l’autoanalisi.

Foto Kevin Winter/Getty Images


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