Cooperazione & Relazioni internazionali

Profughi, la trilogia delle “ragioni dell’esilio”

A Roma presso l'agenzia Onu è stata presentata una trilogia di documentari, ciascuno di un'ora circa, che indagano le ragioni delle migrazioni: i conflitti, le persecuzioni politiche, razziali e religiose e i cambiamenti ambientali

di Monica Straniero

Tre documentari raccontano le storie di coloro che sono stati costretti a fuggire per salvare la propria vita e quella delle loro famiglie, a causa della guerra, del cambiamento climatico e di persecuzioni religiose o politiche. L'obiettivo è quello di contribuire ad una migliore comprensione delle condizioni di vita dei profughi di guerra, ad una maggiore solidarietà e a migliorare la capacità di accogliere e di accettare i migranti da parte dei cittadini europei.

Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), alla fine del 2014 oltre 59,5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di conflitti, crisi sociopolitiche, ambientali o umanitarie. Il 51% di questa popolazione sono bambini sotto i 18 anni. Tre quarti di questi profughi sono ancora in una situazione di "esilio a lungo termine" senza alcuna prospettiva di tornare a casa . Gli studi sostengono che la popolazione di rifugiati continuerà a crescere per tutto il prossimo decennio, anche in forme nuove e diverse. Le nuove connotazioni saranno determinate dalla crescita demografica, soprattutto in Africa e Asia; dall'urbanizzazione, che creerà un numero crescente di rifugiati urbani; dai cambiamenti climatici e dalle catastrofi naturali che causano milioni di esuli ogni anno; dall'aumento del costo del cibo derivante dalla riduzione della produzione agricola in Africa e in Asia, nonché dall’aumento dei conflitti che potrebbero causare il spopolamento di intere aree.

Barbara Cupisti, una pluripremiata regista italiana di documentari, ha concentrato il suo lavoro sulle persone più vulnerabili dirigendo tre film documentari per raccontare le storie dei rifugiati. «Con i recenti arrivi di centinaia di migliaia di persone in Europa provenienti da campi profughi e paesi lacerati da conflitti, è essenziale avere uno sguardo completo e approfondito sulle storie di queste persone, per capire perché hanno dovuto lasciare le loro case e i campi profughi», ha spiegato Cupisti. In tutto il mondo i rifugiati vivono in balia di xenofobia o razzismo e ostaggi di una politica che dà vita a brutali guerre civili e esistenze schiacciate dalla povertà.

Il primo documentario è dedicato a coloro che fuggono dalle loro case a causa di guerre e conflitti. Il film inizia con le immagini e le esperienze raccolte nel campo profughi più grande al mondo: Dadaab.

Nel deserto della provincia nord del Kenya, circondato da miglia e miglia di sabbia e arbusti, il campo ospita 430.000 somali fuggiti dalla guerra che vivono qui da oltre 20 anni in rifugi di fortuna. Hanno bisogno di assistenza totale e versano in una condizione di insicurezza a tutti i livelli: alloggio, sanità, istruzione, lavoro e sicurezza economica rimangono per molti un miraggio. Più prigione che città, il campo di Dadaab non attira mai molta attenzione, se no nel caso di una carestia o di un attacco terroristico da opera di Al Shabaab, il gruppo jihadista somalo in Kenya.

Dall'Africa ci si sposta alla guerra in Siria, che sta causando la fuga di oltre 2 milioni di persone, e sta generando la più grande crisi umanitaria degli ultimi dieci anni.

Le loro storie si svolgono tra la Giordania e la Turchia nel Campo Zaatari, a 12 km dal confine tra i due paesi. È la patria di oltre 90.000 profughi siriani. Anche se, nel campo, sono al sicuro dagli effetti del conflitto diretto, all’ordine del giorno ci sono numerosissimi casi di violenza spesso sessuale. Il documentario si conclude con le storie dei rifugiati palestinesi. All’indomani del catastrofico 1948, restano ancora oggi, da allora, un popolo disperso, ulteriormente colpito da conflitti che vive sotto occupazione, emarginato dalle legislazioni nazionali e privato ​​di diritti.

La seconda parte della Trilogia è dedicata alla diaspora tibetana a causa della persecuzione politica e religiosa.

Dopo l'occupazione cinese del Tibet nel 1959, quando i rifugiati tibetani sono andati in esilio in India, Nepal e Bhutan. Il Dalai Lama ha costruito istituzioni educative, culturali e politiche per cercare di mantenere e preservare l’identità di popolo anche in esilio.

Il terzo film si occupa di rifugiati ecologici, che sono obbligati a lasciare le loro case a causa di eventi quali calamità naturali legate ai cambiamenti climatici, l'erosione del suolo, la desertificazione, la deforestazione, l'esaurimento delle risorse naturali. L'UNHCR stima che nel giro dei prossimi 50 anni, tra i 250 milioni e il mezzo miliardo di persone in tutto il mondo perderanno le loro case o saranno costretti a spostarsi dalla propria regione o addirittura paese.

Il film è girato in Brasile, dove il popolo Guaranì rischia di scomparire a causa della distruzione della foresta del Mato Grosso.

C’è poi un passaggio dedicato alla California, che vive una delle più gravi siccità della propria storia tanto da razionare per la prima volta l'uso dell'acqua da parte dei privati. «Nel prossimo futuro la continua mancanza d’acqua potrebbe costringerli a lasciare le loro case e diventare “rifugiati” in America. Un chiaro paradosso per la nazione più sviluppata del mondo», conclude la regista.


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