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Cure palliative, servono nuovi professionisti

«La gold standard dice che il 65% dei deceduti a causa di tumore sia seguito dalla rete cure palliative, mentre attualmente la percentuale in Italia arriva solo al 30%». L'intervento della presidente della Fondazione Ant che affronta anche il nodo della formazione

di Raffaella Pannuti

Con la presente lettera aperta desideriamo segnalare la forte carenza di medici palliativisti idonei ad operare nelle reti di cure palliative. Vogliamo pertanto richiamare l’attenzione di tutti: istituzioni, professionisti, università e società civile sulla necessità di individuare percorsi formativi che consentano ad un numero adeguato di professionisti di fare fronte al crescente bisogno di cure palliative per tutte le persone con patologie croniche degenerative in fase avanzata di malattia.

A più di cinque anni dalla Legge 38/2010, un sempre maggior numero di pazienti viene preso in carico dalle reti assistenziali preposte. Questo ha favorito una diminuzione della percentuale di pazienti oncologici che decedono in un reparto ospedaliero per acuti, ciò in linea con le indicazioni di sostenibilità delle politiche sanitarie e con le preferenze espresse dai pazienti di essere seguiti al domicilio durante l’ultima fase della vita. Tuttavia, l’efficacia e la capillarità delle reti di cure palliative sul territorio nazionale appaiono ancora molto disomogenee a causa della difficoltà nei finanziamenti e alla mancanza di un piano comune e condiviso di sviluppo tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti.

Il Decreto Ministeriale 43/2007 (Definizione degli standard relativi all'assistenza ai malati terminali in trattamento palliativo, in attuazione dell'art. 1, comma 169 della Legge 30 dicembre 2004 n.311) indica come gold standard che il 65% dei deceduti a causa di tumore sia seguito dalla rete CP, mentre attualmente la percentuale di tali pazienti presi in carico in Italia arriva solo al 30%, dei quali il 9% in hospice contro il 20% atteso (Fonte: Relazione al Parlamento, 2014). Rispetto all’assistenza domiciliare poi, la medesima fonte cita un numero pari a 34.184 malati seguiti, circa il 20% delle persone decedute per cancro, rispetto al 45% indicato come gold standard.

Anche se questo dato appare migliorato nel rapporto al Parlamento 2015, dove si parla di 44.842 pazienti seguiti in assistenza domiciliare, quindi circa il 26% dei 176.119 deceduti a causa di tumore nel 2014, emerge bene come il diritto ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, sia ancora ben lontano dall’essere garantito per tutti coloro che ne abbiamo necessità. Da un lato infatti tale legge, primo esempio in Europa di legge quadro sulle cure palliative, ha aperto la strada ad un percorso di sempre maggiore definizione e appropriatezza, ma dall’altro lato emergono ancora numerose zone d’ombra relative agli standard strutturali e di processo significativi per garantire condizioni assistenziali di efficienza e di elevato livello qualitativo. In questo senso, fondamentale è il monitoraggio dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza che persiste nell’evidenziare sensibili differenze tra le diverse regioni nel recepimento dell’Intesa Stato-Regioni del 25 luglio 2012 sul documento inerente i requisiti per l’accreditamento delle strutture di assistenza.

Il prossimo passo quindi, sul quale si sta lavorando a livello ministeriale, è quello di definire una normativa nazionale rispetto agli standard di accreditamento, in modo da proseguire nel processo di accreditamento delle reti così da identificare in modo chiaro le strutture, e di conseguenza i singoli professionisti, che possano erogare cure palliative adeguate.

Le reti assistenziali esistono e si stanno consolidando, ma devono essere potenziate e per farlo è necessario che tutti i soggetti coinvolti, strutture pubbliche e private ma anche regioni e sistema sanitario, lavorino insieme da un lato per definire in modo più puntuale gli standard assistenziali e dall’altro per strutturare i servizi in modo da poter soddisfare i criteri qualitativi e quantitativi identificati.

Ad oggi la normativa indica come la responsabilità terapeutica delle cure palliative specialistiche sia da attribuire ai medici palliativisti, ma ora dobbiamo far sì che questo si traduca in una presenza concreta sul territorio: i pazienti e le loro famiglie hanno bisogno di essere seguiti in modo concreto e costante da professionisti dedicati.

Affinchè questo avvenga, dobbiamo poter contare su di un numero consono di medici palliativisti motivati e adeguatamente formati, che sostengano le reti locali in modo continuativo e capillare, lavorando in équipe multi professionali che comprendano anche infermieri e psicologi.

L’Accordo Stato-Regioni del 7 febbraio 2013 ha individuato la disciplina delle cure palliative, ma chi sono i medici che di fatto possono essere certificati come palliativisti e ai quali spetta il compito di colmare il gap ancora esistente tra gold standard assistenziali e situazione attuale?

L’Accordo Stato-Regioni del 19 marzo 2015, stabilisce come possano presentare richiesta di certificazione della propria esperienza professionale i medici (privi di una delle specializzazioni di cui al Decreto del Ministero della Salute 28 marzo 2013) che abbiano svolto, alla data di entrata in vigore della L.147 del 27 dicembre 2013, attività nel campo delle cure palliative per almeno 3 anni.

Rispetto alla formazione sul campo, l’Accordo appena citato si è limitato a “sanare” la posizione di quanti si trovassero a lavorare nelle reti precedentemente al dicembre 2013. Tuttavia, visti i bisogni assistenziali sempre crescenti e più complessi imposti dall’aumentare della cronicità e della fragilità, è mandatorio estendere tale percorso di certificazione così da includere anche i giovani medici che oggi desiderino diventare palliativisti.

Riteniamo prioritario che il servizio sanitario nazionale, insieme al mondo accademico, si attivino per stabilire percorsi formativi dedicati, strutturati ed omogenei, che garantiscano una chiara identità professionale al medico che opera in cure palliative. Per fare questo, senza rischiare di impoverire o snaturare la trasversalità di una disciplina nata sul campo prima ancora che nei percorsi istituzionali ed accademici, non si può prescindere dal coinvolgimento di chi eroga direttamente le cure palliative. Nello specifico, il privato sociale accreditato, inserito in modo strutturato all’interno delle reti assistenziali, può rispondere efficacemente ai bisogni formativi esistenti, contribuendo così ad assicurare il diritto alle cure palliative costantemente minacciato dalle difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie.


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